mercoledì 2 novembre 2011

Lettura su Radio Autori Emergenti

mercoledì 26 ottobre 2011

"Il Condottiero" su una tesi di laurea.

Monica Valentini è autrice de Il Condottiero, l’ultima opera presa in esame all’interno di questa trattazione. Come si è avuto modo di vedere, questa biografia romanzata intraprende una via che potrebbe essere definita anti-mitica, nel senso che si pone nella direzione opposta al filone che ha creato e alimentato il mito borgiano.
L’autrice affronta l’ostico tema della vita del Valentino dal punto di vista storico, cercando di tralasciare tutte le vicende inventate o romanzate nel corso del tempo su Cesare Borgia; dunque sarà opportuno ed interessante scoprire fino a che punto ella ha raggiunto il suo obiettivo, conoscere le difficoltà incontrate durante il percorso e sapere il motivo che l’ha spinta a scrivere ancora una volta, dopo tanta produzione letteraria diffusasi nel corso dei secoli, di questo personaggio così misterioso. Per far ciò, dopo aver letto il libro ed analizzato il testo, uno strumento privilegiato è senza dubbio l’intervista diretta all’autrice. Monica Valentini si è prestata molto gentilmente a rispondere ad alcune domande, che verranno qui riproposte fedelmente, ringraziandola per la sua disponibilità.
Come le è venuta l’idea di scrivere un romanzo su Cesare Borgia?
A dire il vero, all’inizio non pensavo affatto di scrivere un romanzo su Cesare Borgia; mi limitavo a leggere. Ma quanto più leggevo, tanto più prendevo coscienza delle varie interpretazioni che ogni autore dava al singolo personaggio di casa Borgia e a quel punto mi sono detta che, forse, bisognava fare un po’ di luce basandosi sui documenti arrivati sino ai nostri giorni.
In che modo ha conosciuto il Valentino?
In un modo “moderno”: uno sceneggiato TV intitolato “I Borgia”. All’epoca ero ancora adolescente e rimasi folgorata dall’interpretazione di Oliver Cotton, tanto che iniziai immediatamente a collezionare libri e romanzi sui Borgia.
Cosa l’ha colpita di questo personaggio storico?
All’inizio sicuramente l’alone di mistero, che tuttora lo avvolge. In seguito la scoperta che, precursore dei tempi, desiderava creare uno stato unito per contrapporlo alla crescente potenza di regni come la Francia e la Spagna.
Cosa l’ha spinta ad intitolare il suo romanzo “Il Condottiero”?
Il semplice fatto che Cesare Borgia, in fin dei conti, è stato un principe condottiero, uno di quelli che, come si direbbe oggi, combatteva in prima linea. E, nondimeno, perché l’aiuto concessogli dal re di Francia era l’equivalente di una condotta, seppur personale.
Che studi ha affrontato per la stesura del libro?
Ho letto molti testi, a partire dalla “Lucrezia Borgia” del Gregorovius e della Bellonci, al “Cesare Borgia” del Fusero e del Sacerdote, alla “Roma dei Borgia” di Apollinaire, al “Principe” di Machiavelli e via dicendo.
C’è un particolare che ha trovato di frequente nelle sue fonti che l’ha colpita maggiormente?
Sì, che si passa dall’adulazione alla maldicenza, secondo i sentimenti di chi scrive, senza tentare una minima interpretazione dei documenti.
Che spiegazione si è data dell’esistenza di un così diffuso mito nero sul Borgia?
L’unica spiegazione plausibile, a mio avviso, sta nella mancanza di fonti, ossia, i documenti ci sono, ma in numero così esiguo che si fa fatica a cercare di ricostruire la realtà. Del resto, se i Borgia fossero riusciti nel loro intento, oggi apparirebbero sotto una luce aurea. Ma tant’è: guai ai vinti, perché la Storia la scrive chi vince e in questo caso ha vinto Giulio II, osteggiando prima e poi abbracciando e proseguendo la politica di Alessandro VI e del Valentino.
Sente di aver ricostruito una biografia piuttosto fedele? Ritiene di aver restituito giustizia alla realtà storica, oppure teme di essere caduta in una delle intricate maglie che costituiscono la leggenda dei Borgia?
Sui Borgia esiste tutto e il contrario di tutto; nonostante ciò spero, onestamente, di essere riuscita a riportare solo i fatti, sebbene debbo ammettere che la figura di Cesare Borgia eserciti su di me un certo fascino.
A differenza di altri romanzieri, lei non fornisce nessuna risposta, ma preferisce insinuare dei dubbi riguardo ad alcune vicende controverse. Come mai ha fatto questa scelta?
Quando si decide di scrivere una biografia, sebbene romanzata per renderla più accessibile al grande pubblico, non si dovrebbero scrivere falsità, bensì attenersi a quello che si sa per certo, senza scendere nel sensazionale. Ho volutamente lasciato in sospeso alcuni lati oscuri della famiglia Borgia, proprio per mancanza di fonti certe.
Che rapporto immagina ci sia stato tra i vari membri della famiglia Borgia?
Un immenso amore familiare.
Chi ritiene essere l’assassino di Juan di Gandía?
Probabilmente non lo sapremo mai con certezza e fintanto che non salterà fuori un documento vero, preferisco pensarla come Alessandro VI: gli Orsini.
Chi pensa sia stato il colpevole dell’omicidio di Alfonso d’Aragona?
Considerato il momento politico che stava attraversando la Chiesa, le varie alleanze suggellate in quel periodo verso la Francia, ritengo plausibile che il mandante fosse Cesare Borgia. Non dimentichiamo che Lucrezia era stata data in sposa al principe spagnolo prima che la scelta politica del Valentino e del papa ricadesse sulla Francia; pertanto il legame con la Spagna andava reciso. Nulla di personale come si vuol far credere, bensì solo un freddo calcolo delle circostanze.
A suo parere cosa rappresenta Cesare Borgia nel quadro della storia rinascimentale italiana? E nella letteratura italiana e straniera?
Nel quadro del Rinascimento ha rappresentato una meteora, un sogno che, se avverato, avrebbe forse cambiato il nostro paese: da terra di conquista perché lacerato in tanti potentati che si facevano guerra tra loro, a stato forte e autonomo. Non ci sarebbero state invasioni né dominazioni e non ci sarebbe stato un Risorgimento per liberarci dagli austriaci. Nella letteratura, a mio avviso, ha contribuito a creare il fascino del “bello e dannato”.
Quanto influito il mito nero di Cesare Borgia nel suo interessamento a questo personaggio storico?
Molto. Ma è un nero che si sta schiarendo e di questo non posso che esserne felice.
... Ringrazio infine Monica per aver scritto un libro sincero sul Valentino, per aver risposto alla timida mail di una sua lettrice, per aver voluto instaurare un rapporto sereno e splendido con la sottoscritta, per l’infinità di consigli che mi ha dato, per essere sempre arrivata al momento giusto con l’aiuto giusto, per essere così tanto disponibile e gentile da volere, ancora una volta, condividere con me la gioia di questa tesi. A lei devo molto: ha letto tutti i miei dubbi ed i miei pensieri arzigogolati su Cesare ha risposto a tutte le mie domande ed alle mie curiosità, ha parlato a lungo con me di una passione che ci accomuna riempiendomi di splendidi doni.
25 ottobre 2011, Chieti. Università degli studi “G. D’Annunzio”, facoltà di Lettere e Filosofia. Corso di Laurea magistrale in Linguistica, Filologia e traduzioni letterarie.
Maria Iezzi.

mercoledì 12 ottobre 2011

Lucrezia Borgia - Tratto da "Roma vista da me"

(Subiaco, 18 aprile 1480 - Ferrara, 24 giugno 1519)


Mi aggiro in silenzio nelle stanze dei Musei Vaticani, mirando incantata le opere d'arte in esse contenute, instancabile e insaziabile dinanzi ai dipinti di Raffaello, insignificante sotto la volta della Sistina, stupefatta nel fissare le mummie egizie, fin quando entro nella Torre Borgia, fatta costruire da papa Alessandro VI e mi addentro nelle sale affrescate da Bernardino Betti, il Pinturicchio, soffermandomi sui volti dove il pittore ha ritratto i componenti della famiglia Borgia. I dipinti sono così belli che rapiscono lo sguardo e quasi mi pare impossibile che quelle figure così candidamente ritratte possano essere i crudeli personaggi che la Storia ci ha tramandato. O, almeno, una parte della Storia. Chiudo gli occhi e un attimo dopo vedo la santa Caterina che, quasi per magia, si stacca dall'affresco e rimane sospesa a mezz'aria, fluttuando lieve, simile a un sogno. Ci risiamo, penso sgranando gli occhi e fissando la figura davanti a me che, sorridendo affabile, esordisce:
-Lo vuoi proprio sapere?-
Rimango mio malgrado incantata e mi accorgo che la gente che affolla la sala non si rende conto di noi, non ci guarda neppure, come se fossimo due creature invisibili. Lei, Lucrezia adolescente, presa a modello dal Pinturicchio per interpretare la santa, mi sorride e alza il braccio per mostrarmi i suoi familiari.
-Mio padre, Rodrigo Borgia, eletto papa con il nome di Alessandro VI, era un uomo buono, parco, gaudente, sostenuto dalla ferrea Fede che aveva nel Cristo, a dispetto di tutti coloro che lo hanno soprannominato l'Anticristo.-
-In effetti, si concedeva talmente tanta licenza che quando era ancora un giovane vescovo si è beccato un rimprovero dall'allora papa Pio II Piccolomini.-
Lei annuisce e ribatte candidamente:
-Era moralità del tempo. Non esisteva uomo di Fede che non fornicasse.-
-Alla stregua di tuo fratello?- domando insinuante.
La vedo scurirsi in volto per una frazione di secondo, quindi recuperare la regalità conseguita per ricoprire il ruolo primario di principessa del Vaticano.
-Mio fratello Cesare era un cardinale allegro, modesto, pieno di vita e i contemporanei possono sottoscrivere.-
-Era il fratello maggiore, vero?-
-Maggiore se parli dei figli che mio padre ha avuto da Vannozza Cattanei: ne ha avuti altri in precedenza da altre donne. Ma sì, Cesare era il maggiore, poi venivamo Juan, io e infine Jofre. Quattro, e mio padre ci ha amato tutti, in particolare Juan, destinato alla carriera militare.-
Vedo i suoi occhi brillare mentre parla della sua famiglia e comprendo che il loro sangue valenzano li ha legati indissolubilmente.
-So che ti sei sposata a tredici anni.- rammento, provando a toccare un visitatore per assicurarmi di essere vista, ma costui non mi sente neppure.
-Sì, con Giovanni Sforza, conte di Pesaro e nipote del Moro. Ma era un matrimonio destinato a naufragare per correre dietro ai venti politici.- commenta scuotendo la bellissima testa dai lunghi capelli biondi. -Puoi immaginare cosa significa essere costretta a sciogliere un matrimonio in quell'epoca? Mio padre e mio fratello erano talmente sicuri del fatto loro che non si sono mai curati dell'infamia che mi gettavano addosso.-
-Come un marchio a fuoco.-
-Proprio così. Quando Giovanni non è stato più utile, mio padre e Cesare si sono guardati intorno per cercarmi un altro degno marito che a loro potesse aprire le porte di altre proficue alleanze. A me non era concesso ribellarmi. Come non mi è stato concesso piangere la morte di mio fratello Juan.-
Sento la sua voce incrinarsi al penoso ricordo e posso solo immaginare il dolore da lei provato.
-Se non rammento male,- mormoro facendo un vago gesto con la mano, -fu ritrovato accoltellato nel Tevere, nello stesso periodo in cui eri costretta a divorziare.-
Lei china appena la bionda testa e sospira mestamente.
-Fu un momento terribile per me e per tutto il mondo cristiano. Il fatto poi di non aver mai saputo chi avesse osato uccidere il figlio prediletto del papa, lasciò tutti con l'amaro in bocca.-
-Si sussurrò che fosse stato Jofre, tuo fratello più piccolo, perché Juan era l'amante di sua moglie.-
-Sciocchezze.- taglia corto con decisione, alzando il mento come una regina. -Noi Borgia siamo stati a lungo infamati da parole che hanno scavalcato i secoli, proferite da persone che ci hanno sempre odiato. Era vero che Juan fosse l'amante di sua moglie, ma Jofre non ha mai ucciso nessuno. Si disse pure che fosse stato Cesare, ma neppure lui avrebbe mai alzato la mano su un congiunto.-
-E chi fu a ucciderlo?- domando incuriosita. -La Storia non ha mai svelato l'arcano.-
-Fai la domanda alla persona sbagliata: io ero chiusa in convento in quel periodo, in attesa del divorzio e pronta a impalmare il secondo marito, il duca di Bisceglie.-
-Per certo, qualcuno che conosceva bene le sue abitudini lo ha colpito e poi si è ritirato nel buio.- indago pensierosa.
-Sì, e quello che so per certo è che mio padre incolpò gli Orsini, senza, per altro, averne mai le prove.-
-La scomparsa di tuo fratello fu la causa dello spogliamento di Cesare.-
-Ovvio. La nostra famiglia aveva bisogno di un uomo d'arme più che di un uomo di Chiesa e Cesare scese in campo.-
-Una morte quanto mai provvidenziale per l'ambizione del Valentino.- faccio notare.
Lei mi fissa dall'alto in basso, con il distacco dell'essere superiore e ribatte:
-Cosa ne sai tu? La gente dice che uccise il fratello per diventare condottiero; io sostengo che fu costretto a divenire condottiero perché gli avevano ucciso il fratello.-
Con un cenno della testa le concedo il beneficio del dubbio e insinuo:
-Si dice pure che tu abbia avvelenato i tuoi mariti.-
Si mette a ridere di cuore, portando una mano alla bocca ed io rimango incantata dinanzi alla sua bellezza e ai suoi modi gentili, da sempre decantati dai poeti e dalle persone a lei vicine.
-Io non ho mai avvelenato nessuno. Amavo talmente tanto il mio secondo marito che quando Cesare me lo ha ucciso per potermi rendere vedova e donarmi agli Este, sono quasi impazzita dal dolore.-
-Vuoi dire che, nonostante il matrimonio politico, eri innamorata di Alfonso d'Aragona?-
Lei socchiude i bellissimi occhi a mandorla e sospira.
-Chi non l'avrebbe amato? Era giovane, bello e gentile ed ho pregato per avere una lunga vita insieme a lui. A quanto pare,- aggiunge con tono struggente, -ho pregato la persona sbagliata.-
Vedo una piccola goccia di rugiada bagnare le sue ciglia e commento:
-Allora ricusi l'accusa di avvelenatrice.-
-Così come ricuso tante altre calunnie gettate sul nostro nome.-
-Eppure la gente ci crede.- faccio notare inarcando le sopracciglia.
Lei abbozza un sorriso e volge il chiaro sguardo oltre la finestra, perdendosi in ricordi lontani. Io ne approfitto per provare a toccarla, per vedere se è reale o se è il frutto della mia fantasia e lei mi lascia fare, condiscendente e intimamente divertita. Con timidezza le sfioro la manica a sbuffo e sento sotto i polpastrelli la vellutata morbidezza del broccato e le coste in rilievo ricamate con fili d'oro. L'emozione quasi mi stronca e alzo lo sguardo per guardarla, bellissima e delicata, eterea ed evanescente.
-Mio padre fu troppo buono nel concedere che il popolo, e chi lo sobillava, sparlasse di lui e lo rendesse ridicolo; Cesare, al contrario, puniva persino i pensieri.-
Esito dinanzi alla sua espressione assorta, come rapita da un vago senso di voluttà e solo dopo un po' le rammento:
-Si dice che tuo fratello fosse un mostro.-
Lei mi fissa e d'istinto allunga la mano per scansare una ciocca di capelli che mi era caduta sugli occhi ed io arrossisco come una scolaretta.
-No, non lo era. Era determinato e ispirato da un alto ideale: quello di unire un'Italia lacerata da guerre intestine; e per portare a termine i suoi progetti non si è fermato dinanzi a nulla. Basti dire che mi ha fatto sposare Alfonso d'Este, recalcitrante e inviperito contro la mia persona perché credeva a tutte le malelingue che correvano sulla mia famiglia.-
-Ma poi ha finito con l'amarti.-
China appena la testa e annuisce.
-Sì, si è ricreduto, come tutti, del resto. Ha pianto moltissimo la mia dipartita.-
Colgo quel commento per mormorare insinuante:
-Si dice che alla morte del Valentino, il tuo pianto straziante somigliasse a quello di una donna innamorata.-
Lei si gira a guardarmi, raddrizza le spalle e i suoi occhi grigi brillano come diamanti.
-Cesare era l'uomo più seducente e bello del suo tempo. Nessuno poteva avvicinarlo senza cadere nel magnetismo del suo fascino. Persino i suoi condottieri, quando hanno provato a ribellarsi al suo straripante potere, gli sono caduti tra le mani appena li ha richiamati. Era impossibile resistergli. Tutti, prima o poi, si scornavano contro i suoi modi affabili, il suo timbro di voce dolce e sommesso, la sua forza fisica che amava mettere in mostra; prova a chiedere al suo fido Michelotto: si è lasciato torturare pur di non rivelare i suoi segreti. Cesare era una forza della natura e nessuno poteva o riusciva a resistergli.-
-Eppure ti ha ammazzato il marito.- le ricordo.
Lei esita, si tocca la fronte con la mano e sospira, come riportata indietro di secoli, a un periodo buio della sua vita, il periodo indimenticabile di Roma.
-Per un po' l'ho odiato, è vero.- ammette riluttante. -Ma era impossibile odiare a lungo il Valentino: era il mio fratello preferito.- aggiunge con insinuante dolcezza e con sguardo che non ha bisogno di altre parole.
Questa volta chino io la testa, accettando la sua mezza risposta e m'informo:
-Come ti sei trovata lontana da Roma?-
Sospira malinconica e chiude un attimo i suoi magnifici occhi, quindi risponde:
-Roma… Roma era tutto per me: era il bene ed era il male, era la felicità ed era il dolore, era la gioventù ed era l'irresponsabilità. Io ho amato oltremodo Roma e quando l'ho lasciata, costretta a trasferirmi a Ferrara, ho pianto a lungo. Tu hai mai lasciato l'Urbe?- indaga fissandomi dritto negli occhi.
-Solo il tempo strettamente necessario per andare in vacanza.- ammetto sorridendo.
-Io l'ho lasciata per sempre e quel vuoto non si è mai colmato.-
-Ma a Ferrara,- ribatto, -alla fine ti sei trovata bene; tuo marito, da prima riluttante, alla fine ti ha amato teneramente ed ha pianto la tua morte, così come i ferraresi. Sei rimasta nei loro cuori.-
-Sì, è vero, tuttavia ho dovuto faticare non poco per sopire i malanimi. Ero vista come una strega, come una donna dissoluta e dai facili costumi. Nulla di tutto ciò, anche se a tutt’oggi lo si crede. Pensa un po',- aggiunge con aria birichina, -quando sono morta, di parto, hanno finalmente scoperto che portavo il cilicio. No,- conclude con un sorriso dolce, -non sono mai stata il mostro che mi si dipinge, tanto meno lo è stato Cesare. La nostra unica colpa, semmai, è stata quella di essere una famiglia di umili origini che vanta due papi e che ha travolto nomi altisonanti come gli Orsini, i Colonna, i Savelli, gli Aragona, gli Sforza, i Malatesta, i Baglioni e tanti altri. Di nemici ne abbiamo avuti molti, a partire dal re di Francia ai reali Cattolici di Spagna, ma abbiamo avuto anche tanti ammiratori, quali il Machiavelli, Leonardo da Vinci, il Bramante, il Bembo, il Sangallo, i Medici e, soprattutto, il popolo.-
-Non è poco.-
-No, non è poco.-
Ci guardiamo per un lungo attimo, con la connivenza di due donne che si conoscono da una intera esistenza e la vedo sorridere un attimo prima di sfiorarmi la fronte con un bacio materno. Rimango esterrefatta, rapita dal suo fascino malinconico e un nodo mi chiude la gola quando riprende il suo posto nel dipinto, immobile dinanzi alla figura di suo fratello Cesare.

domenica 25 settembre 2011

Intervista

E' stata una grande emozione rientrare da un viaggio a Valencia e trovare pubblicata l'intervista sul portale Talento nella Storia!
Eccola qui!

mercoledì 7 settembre 2011

Noi italiani

In questi giorni, per caso, ho avuto la riprova, ahimé, di quanto noi italiano siamo indisciplinati, arroganti e ignoranti rispetto al resto del mondo o, almeno, del mondo civilizzato.
Ho accompagnato alcuni amici a visitare la basilica di S. Pietro e, siccome indossavo un vestito scollato, le guardie non mi hanno concesso di entrare perché avrei dovuto coprire le spalle con un foulard o un giacchettino che non avevo. Colpa mia, perché so che non si entra in chiesa come se si stesse andando in spiaggia, ma siccome a Roma segnavano 40°, non ho pensato a questo inconveniente. Pertanto, con pazienza mi sono messa in disparte, permettendo ai miei amici di entrare ed io sono rimasta in attesa accanto a una bellissima ragazza di Salamanca, anche lei sprovvista di foulard.
Durante il lasso di tempo occorso ai miei amici per vedere la basilica, dinanzi alle guardie sono passate centinaia di visitatori provenienti da tutto il mondo e quando qualcuno si sentiva invitato a non entrare se non si fosse coperto, ho assistito a scene a dir poco imbarazzanti.
In linea di massima gli stranieri erano già premuniti, poiché in ogni guida, in ogni libro, in ogni cartellone è indicato che è vietato entrare nelle chiese con shorts e bretelle; tuttavia chi non aveva di che coprirsi ci rimaneva male, un po’ spaesato, eppure si metteva da parte, in attesa che un congiunto andasse ad acquistare un foulard che permettesse alle signore in questione di accedere alla basilica, tutti comunque disciplinati e pazienti. Del resto, dopo aver fatto migliaia di chilometri, cinque minuti di attesa per scoprire le meraviglie di S. Pietro valgono bene un po’ di calura romana.
Poi sono giunti alcuni italiani che, a dispetto dei cartelli informativi che capirebbe anche un bambino, e a grandissimo dispetto di quella fetta di italiani ligi e corretti, hanno iniziato a inveire contro le guardie, pretendendo di entrare adducendo la puerile scusa che venivano da lontano e che, secondo loro, era inammissibile rinunciare a vedere la chiesa per una simile sciocchezza. Purtroppo nessuno ha spiegato a queste persone che non si tratta di sciocchezza, bensì di rispetto. Vorrei tanto vedere le loro facce all’entrata di una sinagoga o di una moschea…
Per non parlare dei furbi, che hanno fatto finta di capire, si sono messi al mio fianco in attesa, per poi approfittare della presunta distrazione delle guardie per avviarsi verso la scalinata e guadagnare la basilica. La scena patetica è stata che le guardie se ne sono accorte, come era ovvio perché non stanno lì con le mani in mano, e li hanno rincorsi, esortandoli ad allontanarsi.
Ebbene, mi sono vergognata di appartenere ad un popolo simile. Sì, vergognata, perché non conosciamo regole, né rispetto, ci facciamo beffe di tutto e di tutti pensando di esserci comportati nel modo giusto fregando il prossimo e ci arrabbiamo e offendiamo se dall’altra parte qualcuno osa mostrarci che abbiamo torto. A discapito, questo, degli italiani che si comportano bene.
Noi, che siamo stati un popolo meraviglioso, che abbiamo conosciuto i fasti del Rinascimento, gli atti di eroismo del Risorgimento, che possediamo un patrimonio che tutto il mondo ci invidia in fatto di natura e Storia, noi siamo diventati un popolo di burattini arroganti e ignoranti e non dobbiamo meravigliarci se il nostro paese va a rotoli. Diceva bene uno statista di cui non faccio il nome: che non era difficile governare l’Italia, bensì gli italiani.