mercoledì 26 agosto 2009

Quanto sei bella, Roma!

Quanto sei bella Roma!
Aveva ragione Venditti quando intonava la sua canzone d’amore per la città eterna, quando ne esaltava la bellezza con semplici parole rimaste nel cuore. Solo chi ha visto Roma può capire. Se la vivi da turista è veramente la città più bella del mondo, con i suoi infiniti monumenti, i suoi eterni riti, le sue opere grandiose.
Per la prima volta in tutta la mia vita ho deciso di andare ad attendere lo scoccare del mezzogiorno al Gianicolo. E lì, circondata dal fiero cipiglio dei garibaldini sparsi per il parco e sovrastata dalla statua equestre di Garibaldi, mi godo questo colle che offe di Roma una visuale mozzafiato. E’ qui che si compie il giornaliero rito dello sparo del cannone. Ed è un’emozione forte, soprattutto se ripenso che questa tradizione si ripete dal lontano 1846 per volere di papa Pio IX per far sì che tutte le chiese suonassero all’unisono il mezzodì.
E’ bello vedere la folla che si riunisce, i bambini con gli occhi sgranati fissi sul cannone, i soldati che gentilmente offrono la possibilità di scattare una foto ricordo accanto al pezzo di artiglieria; e poi la cerimonia, il caricamento a salve, l’attesa del momento ed il braccio del comandante che dà il via. Non avevo mai sentito sparare un cannone da così vicino e mi sono sorpresa ad udirmi strillare per la paura. Però, infarto a parte, è piacevole scoprire, o riscoprire, queste piccole cose che sono venute prima di noi e che ci sopravvivranno. L’unico rammarico, semmai, è la delusione di non aver trovato il mitico canone dell’ottocento, ma un moderno pezzo di artiglieria.
Ma la delusione non c’è stata quando sono tornata a Castel Sant’Angelo di notte, illuminato al pari del cupolone che svetta lì vicino. Le mura massicce, i torrioni, le carceri che, se fossero in auge adesso farebbero pensare due volte prima di commettere un delitto, ed il famoso Passetto che congiunge la mole Adriana con il Vaticano. Una volta veniva usato dai papi per rifugiarsi senza pericolo nella fortezza, così come accadde durante il sacco di Roma nel 1527, ed ora possiamo vederlo anche noi miseri mortali. E pensare che anni addietro avevo provato ad aprire il portoncino di accesso ma sono stata bloccata perché nessuno poteva vedere o entrare nel Passetto. Un pezzo di Storia che stava lì ad ammuffire, pieno di erbacce e vietato a chicchessia ed io che mi rodevo il fegato. Ora, per qualche oscuro miracolo cinematografico (o meglio dire miracolo del dio denaro?) il Vaticano si è reso conto dell’interesse che suscitava il famoso Passetto e si è deciso ad aprirlo, almeno per un pezzo. E così, con il cuore in gola per il pensiero di quanti papi, principi e persone varie che hanno lasciato un segno nella Storia erano passate di lì, mi sono addentrata ed ho mirato la mia Roma dall’alto del Passetto, illuminata come una cartolina, il Tevere che accarezza piano i torrioni del castello. Uno spettacolo unico che toglie il fiato, soprattutto di notte.
Roma, Roma, perché sei tu Roma? Perché io che ci vivo non posso goderti come qualsiasi turista? Perché mi costringi ad odiarti quando giornalmente rimango impantanata nel caos cittadino, mentre vorrei amarti con tutta me stessa?

giovedì 6 agosto 2009

Il cane operato sta benissimo!

E’ partito da Roma per arrivare sino a Tuoro sul Trasimeno per amore del suo cane, un bellissimo setter inglese che, per colpa di un tumore al rene, deve essere operato. Ed è rimasto con noi, compagno di due torride serate di luglio.
Un romano classico: trucido, bestemmiatore, con i segni della vita sul volto, uno di quelli che guardi in faccia e pensi che non gli daresti mai tua figlia; eppure di una simpatia irresistibile e, strano a dirsi, una persona buona. Ha mollato moglie e figlia per portare il suo cane da caccia a farsi operare e noi non avremmo mai potuto immaginare di trascorrere due serate all’insegna del riso più sfrenato. Con la sua calata romana che rasenta la volgarità ma che, bestemmie a parte, non raggiunge mai tali livelli (e questa è già di per sé una meraviglia), ci racconta, con la sua flemma inglese (giuro che è così, un Lord non potrebbe essere più composto ed avere quel tono di voce calmo e remissivo) che sua moglie in realtà è una brasiliana e non l’attuale compagna calabrese che gli ha dato una bellissima figlia. Ci spiega che il suo unico matrimonio, in attesa di separazione, in realtà è una farsa: ha sposato per soldi questa ragazza carioca che aveva bisogno di rientrare in Inghilterra dal suo amante. Una storia classica, che non avrebbe nulla di speciale, se non lui, con la sua incredibile flemma, la sua faccia che non lascia nulla all’immaginazione, che ci parla del pranzo di matrimonio. Narra alle nostre incredule orecchie di aver chiamato un ristorante romano che non va famoso per le posate d’argento ma per ben altre cose, e di aver fatto una prenotazione per un pranzo di nozze. Alla domanda del ristoratore di quanti coperti avesse bisogno, lui ha candidamente risposto: “Due”. Ovvio che il proprietario del locale, pensando ad uno scherzo, lo abbia gentilmente mandato a quel paese e riattaccato il telefono. Al che, il neo sposo ha richiamato, insistendo sulla veridicità della cosa e quando il ristoratore gli ha risposto che, se fossero stati realmente in due gli avrebbe offerto il pranzo, lui ha ribadito la quantità di persone, riaffermando che si era appena sposato e che voleva festeggiare l’evento. Sempre pensando ad uno scherzo, l’oste ha domandato: ”Allora siete tu e tua moglie?”.
E lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo: “No, io e il mio testimone”.
Dire che a quel punto del racconto siamo scoppiati tutti a ridere è dir poco. Ovvio che lui, non conoscendo la sposa, abbia preferito sposarsi e portare con sé il proprio amico che gli aveva fatto da testimone. E per ben due volte, badate bene! Sì, perché la prima volta il funzionario del comune non gli aveva spiegato il problema della divisione dei beni e lui, appena intravisto il futuro problema, infischiandosene delle coppie che dovevano sposarsi subito dopo, ha preteso (non voglio neppure immaginare come) ed ottenuto di essere sposato di nuovo seduta stante, stavolta stando bene attento alla clausola della divisione dei beni. Posso solo provare ad immaginare le facce del funzionario e delle coppie di sposi in attesa. Ma torniamo al ristorante.
Fatto sta che l’oste ha dovuto chinare la testa dinanzi al certificato di matrimonio e gli ha offerto il pranzo, con tanto di camerieri che servivano di tutto punto i due soli avventori. Si è addirittura complimentato con lui per quanto aveva fatto per aiutare quella ragazza.
E il viaggio di nozze in Brasile? Lui è partito con il suo amico, per dimostrare la veridicità del matrimonio (perché le autorità lo andavano regolarmente a trovare per accertarsi che la cerimonia nuziale non fosse una farsa) e si è ritrovato a conoscere una marea di brasiliani (calciatori affermati a livelli mondiali, posso garantire) solo con la sua squisita simpatia. Addirittura si è ritrovato a fare il testimone di nozze a due ragazzi conosciuti due giorni prima!
Ora è in attesa di divorzio.
E la sua attuale compagna? Non tanto lei, quanto la sua famiglia calabrese lo manda fuori di testa. La suocera soffre di diabete, al pari di tutti gli altri familiari, e lui le pratica ogni giorno l’iniezione di insulina, ricordandole sempre di mangiare moderatamente. Ma da buona calabrese la suocera non ascolta e, a dispetto di un valore altissimo di glicemia, si gusta il pane con i fichi che la figlia le offre. E lui, candidamente, risponde: “Ho capito che la vuoi fare fuori, ma così evidente…”.
Posso solo aggiungere che questa è una minima parte degli aneddoti raccontatici con la sua calma che contrasta violentemente con il suo aspetto trucido, classico esempio di romano che rasenta la volgarità. Ed io non ridevo così da tempo, con le lacrime agli occhi, mentre ascoltavo rapita quest’uomo che, alternando una bestemmia ad una frase sensata, raccontava la sua incredibile vita, tanto che non basterebbero due persone per viverla.

P.S. Il cane operato sta benissimo!

lunedì 3 agosto 2009

Perché no?

Perché no?
E’ quello che mi sono chiesta appena messo piede in quest’oasi di pace alle falde degli Appennini, a ridosso del lago Trasimeno, dove nel 217 a.C. Annibale Barca combatté contro i romani, trovando una leggendaria vittoria.
Perché no? mi sono ripetuta mentre ascoltavo gli uccellini, le cicale, i cinghiali, i cani, i rospi… Per me, che vengo dal caos di Roma, questo è un paradiso terrestre. Qui non sento i continui martellamenti di chi decide di iniziare i lavori di ristrutturazione dell’appartamento accanto; qui non sono costretta a sentire la sega elettrica che il solito ignorante decide di accendere quando non va al lavoro, ossia il sabato e la domenica, che tutti aspettano con ansia per poter riposare un po’ più a lungo dopo la faticosa settimana lavorativa. Qui non sento il solito imbecille che manomette la marmitta del motorino per farsi sentire quando passa per appagare il suo egocentrismo, né il cretino che arriva sgommando con lo stereo della macchina che rompe i timpani e qualcos’altro. Qui non odi le continue ambulanze che corrono a raccogliere ciò che rimane dei feriti sfracellati dopo una notte brava a suon di droghe ed alcool, perché “altrimenti non è uno sballo”, mentre rimanere spiaccicati sull’asfalto è molto cool. In questo angolo di paradiso non senti il vicino che ti abita di sopra rientrare in piena notte e camminare allegramente con le scarpe con i tacchi alti, come se si trovasse in via del Corso, mentre tu cerchi vanamente di dormire; o quello sul pianerottolo che urla e schiamazza con gli amici infischiandosene di chi, all’una di notte, ha la folle pretesa di dormire. Qui non senti il continuo abbaiare isterico del cane della dirimpettaia che ti tormenta ad ogni ora del giorno e della notte e fai il tifo per chi, esasperato, qualche volta urla: “Lo uccidiamo questo cane?”. Basterebbe eliminare i proprietari che non comprendono che il cane isterico dà fastidio.
Qui, a parte gli echi della battaglia della seconda guerra punica, odi solo la campagna, il ringhiare dei cani esclusivamente contro gli intrusi, il grugnire dei cinghiali quando escono di notte con il branco per mangiare, il frinire delle cicale ed il canto melodioso degli usignoli che ti dà il buongiorno di prima mattina. Perché no? Perché non abbandonare il caos cittadino di Roma, la maleducazione e la totale mancanza di rispetto di chi ti abita al fianco, per ritrovare la calma e la serenità della campagna? Ma sì, stavolta faccio le valigie e mollo tutto, inizio una nuova vita senza più rumori dai decibel insopportabili, senza più stress. Pianto radici in questo angolo di paradiso, all’ombra di secolari ulivi e mi dedico alla contemplazione dei colori della natura. Qui c’è la pace assoluta, rotta solo dai bambini che si divertono in piscina in orari consoni. Pazienza se poi qualche insetto ti pizzica e ti gratti come una scimmia o se ti accorgi che accanto al letto hai un vicino speciale: uno scorpione.
Poi… Poi accade. Improvviso ed inatteso; mi giro e mi ritrovo a faccia a faccia con il mio peggior nemico e rimango paralizzata. Lui sta lì, immobile, quasi strafottente, che mi fissa con alterigia, mentre io inizio a sudare freddo. Allora capisco che la campagna non fa per me, che, tutto sommato, preferisco morire di stress anziché di infarto e mestamente riprendo la via di casa.
Il ragno ha vinto.