lunedì 28 giugno 2010

Aforisma

"Essere donna è un compito difficile: consiste nell’avere a che fare con gli uomini."
J. Conrad

giovedì 10 giugno 2010

Stralcio da "Agemina"

Ruggero attese che Vidicungo tornasse con Orso e nel frattempo si toccava la parte sinistra del volto, debitamente fasciata, che aveva fatto curare e ricucire dalle donne. Il cerusico gli aveva assicurato che la lacerazione, che tagliava in verticale l’intera guancia e terminava sopra l'arco sopraccigliare, si sarebbe rimarginata e la ferita, in effetti, aveva smesso di sanguinare, in quanto il taglio era solo superficiale; purtroppo aveva perso l'uso dell'occhio ed il cerusico gli aveva detto che presto sarebbe imbiancato, a testimonianza della mancanza della vista. Per tutto il giorno non aveva fatto altro che ripensare a quegli uomini d'arme, visti da bambino, che avevano perso un occhio od entrambi, ricordando il timore provato per colpa dello strano colore che assumevano quando non vedevano più. A lui sarebbe accaduta la stessa cosa e non per colpa di una guerra o di un duello, ma solo perché un menestrello aveva agito permeato dal livore.
Si toccò nuovamente le bende che gli ricoprivano parte del volto e l'intera testa, e pensò che, probabilmente, non sarebbe mai riuscito a perdonare Orso per quell'atto inconsulto. Se fosse dipeso da lui, l’avrebbe ammazzato senza pensarci due volte; questo, però, avrebbe significato far del male a Jano. Il solo pensiero del conte gli procurò una stretta allo stomaco: con quale coraggio si sarebbe fatto vedere da lui ridotto in quello stato?
Fece alcuni passi per la stanza, cercando di mantenere la calma e di ignorare il dolore dei punti di sutura che tiravano la carne e del dolore fortissimo alla testa, e sperò che Braccio non notasse la sua assenza. Gli aveva portato una serva nella speranza che lo tenesse impegnato per un po' e nel frattempo era corso a cercare Vidicungo. Ora, come un animale in gabbia, se ne stava nello studio del siniscalco, in attesa che tornasse con Orso, del quale aveva richiesto la presenza.
E poco dopo la porta si aprì ed i due uomini entrarono dentro con aria bellicosa ed infastidita all'unisono.
Orso osservò la fasciatura e non riuscì a trattenersi dal piegare le labbra in un lieve sogghigno di trionfo. Ride bene chi ride ultimo, pensò Ruggero ribollendo d'ira.
-Eccoci qui, come da voi richiesto.- iniziò Vidicungo evidentemente spazientito.
Orso si avvicinò al camino dove scoppiettava un fuoco vivace che proiettava le ombre sulle pareti di pietra e rimase in attesa, palesando la sua totale indifferenza a quello che aveva da dire. Ruggero si limitò ad inserire la mano dentro il giaco e ad estrarne la lettera di Jano. Con le sopracciglia aggrottate ed una muta domanda nello sguardo, Vidicungo la prese, ruppe il sigillo e la scorse rapidamente. Orso si rese conto che, mano mano che prendeva visione del contenuto, il siniscalco impallidiva e sbirciava Ruggero con gli occhi che gli strabuzzavano dalle orbite. Quando terminò, inebetito, passò il foglio ad Orso con mano tremante ed attese che leggesse. Nel frattempo Ruggero studiava il menestrello con un'attenzione tale che, se se ne fosse accorto, lo avrebbe irritato oltremodo. C'era qualcosa in lui che, stranamente, gli ricordava Jano e quella somiglianza gli fece battere forte il cuore.
-Non è vero!- sbottò Orso con veemenza, fissando Ruggero con evidente disprezzo.
Questi abbozzò un sorriso di vittoria e raddrizzò le spalle, mettendo le mani dentro la cinta legata in vita, confermando:
-È la verità. Il signor conte mi ha preso al suo servizio.-
Orso scosse la testa, incredulo ed attonito e Vidicungo si mise seduto dietro la scrivania, esortandolo a raccontare cosa avesse portato il loro signore ad una simile decisione. Ruggero spiegò brevemente tutto quello che era accaduto, senza tralasciare nulla, studiando le espressioni dei due uomini che aveva di fronte, i quali inorridirono alle sue parole e lo fissarono trasecolando, l'aria sempre più mortificata.
Alla fine Orso alzò le braccia in segno di resa e sputò velenoso:
-Se questo è ciò che ritiene opportuno il mio signore, chi sono io per confutare le sue decisioni? Capirà da solo che sta sbagliando di grosso.-
Ruggero ricevette l'insulto come una staffilata e si irrigidì restringendo pericolosamente l’unico occhio rimastogli, mentre Vidicungo lo preveniva dicendo:
-Basta così. Se questo è ciò che vuole Jano, noi lo accetteremo. Bisognerà informare Gelina e mantenere il segreto con tutti gli altri.-
-Ci penso io.- si offrì Orso.
Stava per andarsene nauseato, quando Ruggero lo bloccò, afferrandolo per un braccio.
-Forse dovremmo riconsiderare le nostre posizioni.- suggerì conciliante. -Potremmo riporre le armi e provare a coesistere pacificamente.-
L’altro diede uno strattone e si liberò, sibilando:
-No, mai.-
-Io non vi ho fatto nulla.- gli fece notare.
Orso strinse i denti e fissò la benda macchiata di sangue. Era vero. Ma la repulsione che provava era un'antipatia a pelle che faticava a tenere nascosta. Dopo aver lanciato un'occhiata a Vidicungo, uscì in cerca di Gelina e dell'aria che gli stava venendo meno.

~

Gelina lo fissò senza riuscire ad aprire bocca, talmente rimase sbigottita. Ora tanti perché si chiarivano e l'idea di rendere omaggio all'uomo che aveva posto l'assedio e che intendeva passare come liberatore la ripugnava. Allo stesso modo di come la disgustava sapere che lui intendeva sposarla per entrare in possesso del feudo di Jano. Il solo pensiero, poi, che suo fratello avesse rischiato la vita…
Orso l'abbracciò e le accarezzò la schiena, cercando di consolarla, dicendole che, tutto sommato, era stata una fortuna che Ruggero avesse cambiato bandiera e non avesse portato a termine il folle progetto di Braccio.
-Ho paura.- sussurrò contro il suo torace. -Cosa sta succedendo?-
-Stai tranquilla, non accadrà niente.- la consolò odorando i suoi capelli.
-Ma Braccio è qui con i suoi cavalieri…-
Orso capì immediatamente dove volesse andare a parare e le prese il volto a due mani per guardarla negli occhi spaventati.
-Anche noi siamo tanti.-
Gelina accettò quella bugia detta a fin di bene e si morse le labbra.
-Io non voglio sposare quell'uomo.-
-Non lo sposerai.-
-Lui pensa che Jano sia morto…-
-Ruggero ha l'ordine di tenerlo a bada fino all'arrivo di tuo fratello.-
-Io… Non ce la faccio stasera… Rendergli onore per… No, non ce la faccio.-
-Sì che ce la fai.- intimò con fermezza. -Ricordati che solo noi e Vidicungo sappiamo la verità e lui non deve minimamente sospettare.-
Gelina strinse i denti e trattenne le lacrime che, ultimamente, le pungevano gli occhi troppo di sovente. Orso le sorrise incoraggiante, accarezzandole le guance con i pollici e con insinuante dolcezza le ricordò:
-Dov'è finita l'intrepida pulzella che combatte come un uomo? I miei insegnamenti non sono dunque serviti a nulla?-
Lei si agitò un po', punta nell'orgoglio, ma sapeva che voleva solo incoraggiarla in quel momento particolare e con mestizia rispose:
-Sono qui e farò la mia parte.-
Orso annuì lievemente ed un secondo dopo si chinò a baciarla, sentendola fremere tra le sue braccia.
-Io ti starò vicino, non ti lascerò.- promise sulle sue labbra.
Lei lo guardò negli occhi ed annuì, sentendosi protetta ed al sicuro vicino a lui.


Napoli, autunno 1294
Jano accarezzò il suo destriero con infinita dolcezza, sussurrandogli parole tenere che l'animale gradì posando il muso contro la testa del ragazzo.
-Lo viziate troppo.- protestò Luchino incrociando le braccia al petto.
-Lo vizio perché lo amo.-
-Avete il cuore troppo tenero, mio signore.-
-Solo con chi amo.-
Il ragazzino scosse la testa ricciuta e tornò a strigliare il destriero, mentre Jano continuava imperterrito a coccolarlo, mirando il suo manto che risplendeva sotto i raggi del sole che entravano da una finestrella.
Tancredi apparve in quel momento sulla porta della scuderia, seguito da un cavaliere di Roccagelata; si guardò intorno come se fosse braccato e si avvicinò con passo sicuro al recinto dove stava Jano con Luchino.
-Tu lo strigli troppo.- disse scarmigliando i capelli del ragazzino. -Così lo vizi.-
Luchino sgranò gli occhi e spalancò la bocca, mentre sentiva il suo signore scoppiare in una sonora risata.
-Che c'è?- borbottò Tancredi studiando ora uno ora l’altro. -Cos'ho detto di sbagliato?-
-Nulla, amico mio.- lo rassicurò Jano battendogli una mano sulla scapola.
Ma quando vide chi era l'altro cavaliere, si scurì e s’informò con tono serio:
-Problemi?-
L'uomo, che era stato messo alle costole di Celestino V da Jano per tenerlo lontano il più possibile dal Caetani, esitò, non sapendo se parlare dinanzi al ragazzino. Il conte capì e gli fece un cenno con la testa, lasciando Luchino ad accudire il destriero e loro si rintanarono in un recinto vuoto della scuderia, lontani da orecchie indiscrete. Il cavaliere aveva il volto cadaverico e le labbra serrate e si guardava intorno con circospezione, facendo incuriosire oltremodo l’interlocutore. Notando che non accennava ad aprir bocca, Tancredi gli diede una leggera spinta e questi, dopo aver deglutito, si risolse a balbettare:
-Non so se sia vero, ma… Il cardinale ha parlato con il papa… ed un paggio… e il paggio del Colonna… Il paggio si è lasciato sfuggire alcune parole che… che se fossero vere…- e si fece il segno della croce, intonando un Padre Nostro in sordina.
-Va' avanti.- lo esortò Jano con malcelata impazienza, le braccia incrociate al petto. -Immagino che il cardinale in questione sia il Caetani.-
-Ecco…-
L'uomo si guardò ancora intorno, gli occhi sbarrati per il terrore che gli procurava la sua stessa notizia, quindi si fece nuovamente il segno della croce ed infine sussurrò:
-Pare che il papa voglia abdicare.-
Jano si irrigidì e spostò lo sguardo annichilito su Tancredi, per rendersi conto se avesse udito male. L'amico era serio e grave, segno che aveva recepito benissimo l'informazione e che le sue orecchie funzionavano ancora bene, quindi tornò a concentrarsi sull'altro cavaliere e domandò:
-Sei certo di ciò che dici?-
L’uomo annuì lentamente e sussurrò:
-Diciamo solo che… ho sentito il paggio del Caetani che ne parlava con uno del cardinale Colonna.-
Jano rimase a lungo pensieroso, sotto lo sguardo attento di Tancredi e terrorizzato dell'altro. Era evidente che entrambi aspettassero che dicesse la sua in merito, soprattutto perché la notizia, se confermata, sarebbe stata non grave ma gravissima. Provò ad immaginare cosa sarebbe accaduto se la voce fosse risultata vera e, tra tutte le possibili risposte, una sola prevaricò sulle altre: il caos, il giorno dell’Apocalisse. Per un attimo sentì un nodo in gola che gli impediva di respirare e comprese che era la paura che avanzava, quella paura che si prova quando si guarda la morte in faccia; eppure vedere Tancredi e l’altro che lo fissavano in attesa che li rincuorasse, lo costrinse ad imporsi la ferrea disciplina alla quale suo padre lo aveva allevato e, schiarendosi la gola, mormorò:
-Voci di corridoio…-
-In effetti…- commentò Tancredi con evidente sollievo, scacciando le mosche che gli ronzavano intorno con fastidiosa insistenza.
Jano annuì, ben sapendo che non c'era nulla di più vero o di più falso delle voci di corridoio e solo il tempo avrebbe convalidato o meno il cosiddetto "sentito dire".
Notando le facce preoccupate dei due uomini, ed immaginando la propria, si costrinse a sorridere, cercando di mostrare una fiducia che era ben lungi dal provare e disse con una certa logica:
-Be’, voi avete mai udito di un papa che abbia abdicato?-
Gli altri scossero lentamente la testa, nella vaga speranza che schiarisse le tenebre dei loro pensieri e lui continuò:
-E dunque, vi siete risposti da soli.-
-Allora ritieni che sia una fandonia?- domandò Tancredi.
-Certo. Chi è quel pazzo che rinuncerebbe alla tiara? Solo un folle lo farebbe e Celestino non è folle.-
I due cavalieri non trovarono pecche in quel discorso conciso, lapidario e quasi tirarono un sospiro di sollievo quando recepirono che nulla sarebbe cambiato e dopo un po' iniziarono a ridere di loro stessi e della paura provata. Jano li esortò ad andare a bere una birra e quando li vide lasciare la scuderia con aria sollevata si avvicinò a Luchino e gli disse ammiccando:
-Vizialo bene.-
Il ragazzino lo vide fare l'occhiolino e con un sorriso riprese a strigliare il cavallo con rinnovato vigore.

mercoledì 9 giugno 2010

Aforisma

"Saggio è colui che, pur avendo ragione, cerca un punto di incontro con gli avversari."
I King