domenica 22 maggio 2011

Stralcio da "L'ombra della ginestra"

La stanza era illuminata a giorno, con il sole del tardo mattino che allungava i suoi caldi raggi attraverso le bifore trilobate e riluceva sullo stendardo alle spalle della sedia e sulla panoplia attaccata a un muro, donando un briciolo di calore all’ambiente austero e gelido. Edoardo camminava avanti e indietro come un animale in gabbia, le mani dietro la schiena e l’aria irritata, pronto a sbranare chiunque gli si fosse parato davanti. Appena il suo segretario gli aveva annunciato l’arrivo di Lothar, aveva licenziato tutti coloro che si trovavano nella sua stanza, compresi i servi, ed era rimasto da solo con lui, nella speranza di fargli intendere ragione. Non aveva ancora ingoiato l’amaro boccone che aveva ricevuto dopo la battaglia e non voleva ci fossero testimoni a quel colloquio che presagiva poco facile. E Lothar aveva ribadito il secco no. Non era avvezzo a sentire rifiuti alle sue richieste e, se avesse potuto, avrebbe ammazzato l’amico che se ne stava rigido al centro della stanza, evidentemente dolorante per la sbornia della sera prima.
-Non puoi ostinarti nel rifiuto. Il mio è un ordine e tu ti stai macchiando di insubordinazione.- sibilò in tono minaccioso.
-No, assolutamente, non lo farei mai.- ribatté Lothar cercando di ignorare il mal di testa che lo attanagliava e che non lo faceva essere vigile a quel colloquio.
Il Principe Nero gli si avvicinò perigliosamente e sussurrò:
-Sei a un passo dal patibolo.-
Lothar sostenne lo sguardo, inspirando a fondo e maledicendo tutto ribatté:
-Mandamici, se lo ritieni necessario. Io ho chiuso con quella vita. Ho visto fin troppo sangue per desiderarne altro.-
-Non ti chiedo di andare in guerra, perdio! Ti chiedo solo di scortare Giovanni in Inghilterra insieme a me, da mio padre!-
-Mi avevi promesso, alla partenza, che non mi avresti chiesto altro se ti avessi seguito. Ti chiedo umilmente, ora, di onorare quella promessa.-
La calma di Lothar colpì Edoardo, che si allontanò di qualche passo, senza abbandonarlo con lo sguardo. Era vero, aveva promesso pur di averlo al suo fianco in quella battaglia e non poteva ora rimangiarsi la parola data; perlomeno, non era degno del rango che ricopriva.
Con un sospiro passò le mani tra i capelli e si avvicinò alla finestra, osservando il sole che lo abbracciava con i suoi raggi caldi. Cosa diavolo aspettava a farlo giustiziare? Aveva superato il limite consentito già da tempo, arrogandosi un diritto che ad altri suoi collaboratori più stretti era negato. Perché continuare a lasciarlo in vita? Solo perché continuava ad amarlo?
-Sono con le spalle al muro, a quanto pare.- commentò acido, riluttante a perdere il suo migliore e più devoto cavaliere.
Lothar gli lanciò un’occhiata incredula, consapevole di avere la vittoria a portata di mano.
-Starò sempre al tuo fianco, di questo puoi starne certo.-
-Ma intanto mi dici di no.-
-Prima o poi doveva accadere. Preferisco che accada adesso.-
Edoardo si girò e lentamente si avvicinò allo scanno, sormontato dalle insegne del principe di Galles, con le tre piume bianche intrecciate e con il motto Ich dien. Lothar lo studiò in silenzio, chiedendosi se fosse immaginazione, o se realmente vedeva il suo signore come un uomo stanco e disilluso. Sembrava che il suo rifiuto l’avesse in qualche modo stroncato. Era mai possibile?
Lo vide sedersi pesantemente e lasciarsi andare contro lo schienale a occhi chiusi, perdendosi in un mondo dove solo a lui era concesso entrare.
-Mi causi un gran dolore, Lothar.- ammise in tutta onestà. -Io riservavo grande fiducia in te e tu mi stai pugnalando a tradimento.-
-No, questo non puoi dirlo.-
-Lo dico e lo voglio dire!- tuonò aprendo di scatto gli occhi, i suoi magnifici occhi a mandorla. -È vero, ho promesso, ma ciò nonostante speravo tu cambiassi idea. Invece ti sei incaponito e continui testardo, imperterrito e recidivo nel tuo rifiuto.-
Lothar aprì la bocca per controbattere, quando ritenne più saggio stare zitto. Se era vero quello che gli suggeriva il cervello, ossia che la stava spuntando contro il suo signore, era meglio apparire sottomesso.
Edoardo sbuffò e con noncuranza annunciò:
-Sto sinceramente accarezzando l’idea di spedirti al patibolo. Mi solletica non poco il pensiero di vederti morire. Se non fosse per la malaugurata certezza che, una volta decapitato, non potresti più tornare in vita, ti farei uccidere in svariati modi, per godermi lo spettacolo e per punirti della tua insolenza. Ma, fortunatamente per te e sfortunatamente per me, moriresti una sola volta ed io mi godrei solo un misero spettacolo che mi ripagherebbe in maniera del tutto insufficiente di tutte le volte che mi hai fatto imbestialire. Quindi,- concluse con tono di sfida, alzandosi dalla sedia e mettendoglisi davanti, -verrai con me in Inghilterra e dopo, solo dopo, ti sarà pagata la condotta, così sarai libero di andartene.-
L’altro lo fissò sgranando gli occhi, non riuscendo a capire se stesse sognando oppure Edoardo l’avesse minacciato neppure tanto velatamente.
-Non mi lasci scelta, a quanto pare.- notò.
-Certo che puoi scegliere. Sei libero di scegliere.- replicò sprezzante, un sorriso beffardo sulle labbra e le braccia allargate.
Lothar inspirò furente e con sguardo omicida mormorò:
-Se vuoi punirmi per qualcosa fallo pure, ma non farlo solo perché non posso darti ciò che vuoi.-
Edoardo impallidì visibilmente, come se avesse ricevuto un pugno in pieno stomaco e senza riflettere gli assestò un manrovescio con una forza tale che l’altro barcollò sulle gambe, l’espressione stupefatta e la guancia dolorante. Per un secondo rimasero a fissarsi attoniti, entrambi impreparati a quella reazione; l’attimo successivo Lothar lo strattonò per la blusa e gli assestò a sua volta un manrovescio tale che lo stordì e lo lasciò a bocca aperta. In quell’istante il sassone si rese conto di cosa aveva fatto e deglutì, consapevole che stavolta sarebbe salito al patibolo senza nessuna scusante, neppure che fosse reduce da una sbornia. Vide lo sguardo furibondo di Edoardo e gemette, un attimo prima di sentire il pugno arrivargli in pieno volto. L’urto fu talmente forte che si ritrovò schienato sulla scrivania, mentre il candelabro rovinava a terra con un tonfo sordo e Myrddin balzava dal suo caldo giaciglio. Con la testa che gli scoppiava provò a rialzarsi e lentamente si riportò in piedi, il labbro gonfio e un rivolo di sangue che fuoriusciva dal lato della bocca. Per un lungo attimo rimase a fissare Edoardo, il fiato sospeso, pronto a udire la sentenza di morte e solo quando lo vide scuotere la testa osò pulirsi dal sangue.

giovedì 5 maggio 2011

Cesare Borgia, cardinale e duca Valentino

Cesare Borgia nasce nel 1475, a Rignano Flaminio, tra il 12 ed il 14 settembre, dall'allora cardinale Rodrigo Borgia, in seguito papa Alessandro VI e da Vannozza Cattanei. Avviato alla carriera ecclesiastica dal padre, Cesare viene elevato al galero a diciotto anni, dopo essersi laureato in diritto assieme a Giovanni de' Medici, futuro papa Leone X. Deve il suo nome Valentino alla diocesi di Valencia, della quale il padre lo nomina vescovo prima e cardinale dopo. Ragazzo solare e brioso, amante dell'esercizio fisico e della caccia, si circonda di amici potenti che, in seguito, diverranno suoi capitani di ventura. L'abito talare gli va stretto, non sopporta la vita clericale, tanto che dirà una sola volta messa in tutti gli anni della sua carriera ecclesiastica, nella sua diocesi romana, la basilica di Santa Francesca Romana. Alla morte di suo fratello Juan, di cui si mormora fosse stato lui il mandante senza mai avere prove a suffagio, depone l'abito e, con l'appoggio di Luigi XII di Francia, diviene duca Valentino, nome che gli viene dal Valentinois, ducato concessogli dal re. Il ragazzo allegro svanisce nell'ombra del condottiero, e l'uomo diviene taciturno, malinconico, solitario. Un solo amico gli è veramente vicino e del quale si fida: don Michele Corella, il quale sarà custode dei segreti del suo signore fino alla morte. Il sogno di un'Italia unita lo porta a conquistarsi un ducato che suscita i timori di Francia e Spagna, che vedono minacciare da vicino i loro possedimenti italiani e che tenteranno di tutto per fermalo. In questo periodo della sua vita, il Valentino si affida al genio di Vinci per progettare macchine belliche, per disegnare planimetrie dei territori conquistati e si incontra con il Machiavelli, che la repubblica di Firenze gli invia come ambasciatore. Questi rimarrà talmente affascinato dall'uomo, dal modo in cui fronteggiò i capitani rivoltosi nel "bellissimo inganno di Senigallia", che si ispirerà a lui nel suo "Principe", riconoscendo nel Valentino la pura virtù cinquecentesca che avrebbe dovuto avere un principe guerriero. Il suo cammino si blocca con la morte del padre e con la sua lunga malattia. Nonostante le avversità dell'ultimo periodo della sua vita intensa, dopo una rocambolesca fuga dal castello della Mota in Spagna, è pronto a risorgere ed a tornare in Italia, sorretto dalla devozione delle popolazioni da lui assoggettate. La morte in combattimento, il 12 marzo del 1507 a Viana, metterà fine a tutti i suoi sogni.

lunedì 2 maggio 2011

Libri a copertina rigida

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