sabato 26 febbraio 2011

Un capodanno... insolito

Un capodanno è pur sempre un capodanno e va festeggiato come si deve. Per questo motivo avevamo deciso di trascorrerlo lontano dal caos cittadino, in una ridente tenuta in mezzo al verde, immersi nella pace nel polmone d’Italia. I nostri amici ne sono stati oltremodo felici, perché era un ritrovarsi al di fuori dell’estate, in un clima totalmente diverso, con un’atmosfera da Vecchia Romagna Etichetta Nera, con tanto di camino e silenzio a dir poco innaturale. Decisamente diverso dal caldo dell’estate, con le risate cristalline dei bambini in piscina e il continuo frinire delle cicale.
Così, fatte le valigie in quattro e quattr’otto, abbiamo abbandonato l’Urbe e ci siamo diretti in Umbria, la nostra seconda casa, per modo di dire. La prima preoccupazione è stata: chi ci sarà oltre noi all’agriturismo a festeggiare il capodanno? Speriamo ci siano giovani come noi, in modo da poter tirare fuori i giochi di società e attendere con trepidazione il nuovo anno in maniera diversa da come si è avvezzi a festeggiarlo oggi. Un gusto un po’ retrò, ma tanto salutare! Il desco al centro del salone, imbandito con tanti gadget natalizi, l’atmosfera familiare e calda, le risa, gli scherzi… proprio come una volta. E poi i fuochi d’artificio a bordo piscina, il bicchiere con lo champagne per buon augurio…
Be’, a quanto pare quest’anno ci è andata male: con noi ci sono due coppie di ultra settantenni provenienti dalla città partenopea , che sicuramente limiteranno i festeggiamenti perché andranno a dormire presto e non potremo fare troppo rumore. Pazienza, speriamo almeno che giungano alla mezzanotte per poter brindare e dare fuoco alle ceneri dei fuochi d’artificio. Ma sì, ti pare che non attenderanno lo scoccare del nuovo anno per scambiarci gli auguri?
Certo è strano: noi coppie di quarantenni, praticamente nel fiore della vitalità, dover trascorrere il capodanno con queste persone che hanno il doppio della nostra età… praticamente nostri nonni… Del resto, sono gli inconvenienti di chi gestisce un agriturismo e noi avremmo dovuto immaginarlo.
La cena, tutto sommato, è andata bene: i quattro vegliardi hanno mangiato tutto, mentre noi, con i nostri problemi di stomaco, qualcosa abbiamo tralasciato. E che vuoi farci? Conduciamo una vita frenetica e il minimo che può capitarti è la gastrite. Però il brindisi è stato bellissimo, con tanto di fuochi d’artificio che il nostro amico ha fatto partire allo scoccare della mezzanotte. Un’emozione bellissima , se pensi che tutto intorno era buio pesto e silenzio inusuale.
Timidamente, poi, abbiamo tirato fuori i giochi a tavola, in primis il Trivial Pursuit, giusto per affermare la nostra ignoranza e scherzarci sopra. Ovvio che abbiamo invitiamo i vegliardi, non puoi esimerti, pare brutto. E loro hanno accettato, con nostra immensa sorpresa. Abbiamo giocato a squadre: uomini contro donne e, inutile dirlo, noi donne abbiamo vinto. Non so per quale motivo, ma con il Trivial riusciamo sistematicamente a vincere i nostri uomini, senza per questo essere più dotte. Mentre loro, al contrario, vincono sempre al Tabù, capendosi anche solo con un’occhiata. Ma qui c’è la sorpresa: le due “giovincelle” posseggono l’intero scibile umano! E altrettanto i due “giovinastri”, che ci fanno impallidire al confronto. Caspita, ci siamo imbattuti in una squadra di ottuagenari che mettono paura! Bene, molto bene! Il confronto è il sale della vita e via con altri giochi impegnativi. E nel frattempo mandi giù un goccetto di vino, di grappa, di cognac… di tutto quello che capita e i partenopei che tengono spaventosamente il passo! E poi lenticchie e cotechino, di nuovo panettone e ancora alcool da bastare per un mese intero se non di più. Ma è capodanno, uno strappo alla regola è concesso.
Alla fine, giunti alle tre e passa di mattina, noi quarantenni abbiamo iniziato a ciondolare le teste, stanchi morti, e lo stesso gli ottantenni nostri compagni di avventura. Così, di comune accordo, ognuno si è diretto nelle rispettive camere a riposare, per affrontare un primo dell’anno in maniera più fresca. Che dire: appena messo la testa sul cuscino, mio marito ha iniziato a ronfare, io ho faticato, forse perché era passata la mia solita ora. Fatto sta che, nella stanza accanto, ho iniziato a sentire la signora anziana dolersi e ho drizzato le orecchie, temendo di dover intervenire per portarla al pronto soccorso. In effetti quella sera avevamo tutti esagerato e non mi sono stupita nel sentire la donna lamentarsi. Questo è quello che succede ad una certa età, quando gli stravizi non sono più all’ordine del giorno. Ho provato a scuotere mio marito, ma lui era letteralmente svenuto e così mi sono messa l’anima in pace e già stavo per scendere dal letto e rivestirmi per portare aiuto, quando un gemito di dolore diverso dagli altri mi ha insospettito. Gemito di dolore? Oddio, tutto era fuorché un gemito di dolore!
Insomma, con mio basito stupore, sono rimasta trasecolata nel rendermi conto che noi, baldi quarantenni, non riuscivamo a tenere il ritmo degli ottantenni! E quando l’ho raccontato la mattina dopo, si sono stupiti tutti, dicendo che avevo bevuto troppo e mi ero immaginata tutto, perché nessuno, dopo la serata trascorsa, era riuscito a rimanere sveglio per fare l’amore come io sostenevo avessero fatto i vegliardi. Era impossibile anche solo pensarlo. Ma alla mia insistenza, perché ero certa di quanto udito, visto che mi aveva tolto il sonno, i giovani si sono messi d’accordo per informarsi nel modi più discreto possibile sulla nottata trascorsa dai partenopei.
All’arrivo nel salone dei vegliardi, il nostro amico ha candidamente chiesto al signore:
-Trascorsa bene la nottata?-
Al che, l’ottuagenario che si era divertito a mangiare, bere, giocare e fare l’amore alla faccia nostra, ha risposto con un sorriso malizioso:
-Divinamente.-
Per poco non mi strozzavo con il mio cappuccino, mentre i nostri amici si lanciavano occhiate allibite e, neppure a dirlo, da quel giorno il ricordo di come i nonni ci avessero surclassato in tutto ci fa sorridere e sperare nell’emulazione negli anni a seguire.

domenica 20 febbraio 2011

giovedì 17 febbraio 2011

Cara amica

Cara amica,
vorrei poterti chiedere come stai, ma auspico di poterlo fare il più in là possibile, visto che dimori con gli angeli.
Ti scrivo perché volevo raccontarti cosa è accaduto con tuo marito, o meglio, il tuo vedovo. Fermo restando che sai bene quanto io aborrisca la politica, e tu lo sapevi, quanto sto per narrarti ai miei occhi ha dell’incredibile e forse ora capisco perché accennavi a un divorzio.
Ricordi quando, due anni orsono, scopristi, ahimè, di avere un tumore e nel medesimo periodo il tuo contratto di affitto scadeva e c’era una rivisitazione dell’importo da versare e/o in caso contrario lasciare l’appartamento? Capisco che la possibilità di perdere un posto così ameno o di pagare il giusto canone ti avesse sconvolto, considerato che abitavi in un attico di duecento metri quadrati, con un balcone che è pari al mio piccolo appartamento e che pagavi una miseria, nonostante tu e il tuo vedovo guadagnavate fior di soldi svolgendo la vostra professione di medici. Come? Come faccio a saperlo? Non ricordi più che ero io a farti la dichiarazione dei redditi? Lo so, sei sempre stata sbadata, per questo c’ero io a ricordarti le cose. Insomma, mi sarei arrabbiata anche io se, di punto in bianco, la cooperativa proprietaria dell’immobile avesse deciso di applicare il giusto tasso in una zona centrale di Roma, pena lo sfratto. Certo, per due come voi che, solo di imposte, versate tanto quanto guadagnano tre persone normali… Capisco, ti scocciava, non era affatto “di sinistra”. Ma perché è così facile proclamarsi di sinistra quando si hanno tanti soldi? Comunque sia, ti ho aiutato lo stesso a non perdere la tua preziosa casa, perché eravamo amiche e io non ho mai fatto caso a queste cose. Insomma, ti portai a un patronato di destra, dove c’era un mio caro amico che ti avrebbe aiutato. Certo, all’inizio ti è parso un po’ strano, visto che nessuno dei tuoi “amici” di sinistra aveva voluto fare qualcosa per te, ma così va il mondo, che vuoi farci? E ti sei tenuta la casa continuando a pagare una miseria.
E poi…
E poi tu sei volata via, così, pochi mesi fa e, se non fosse stato per tuo zio, non l’avrei neppure saputo, perché il tuo vedovo non si è neppure degnato di farcelo sapere. E pensare che quando telefonavano i miei genitori per sapere come stavi, lui rispondeva sempre in maniera molto scocciata, come se gli dessero fastidio. Ma va bene uguale. Sono riuscita a salutarti per l’ultima volta e solo questo conta.
E poi…
Eh, sì, ora arriva il bello. Il tuo vedovo, che io ho visto solo tre o quattro volte in vita mia, mi telefona perché si ricorda che un mio amico ti aveva fatto un grosso, ma grossissimo favore due anni prima e ora a lui ne serve un altro. Già mi suona strano che sia passato dal rapporto formale al semplice “ciao Nica”, come se fossimo vecchi amici, ma per te ho fatto finta di nulla. Un’amica è pur sempre un’amica. Così prendo appuntamento con il tuo vedovo per accompagnarlo al patronato e nel frattempo chiamo il mio amico per avvisarlo. Piccolo intoppo: il mio amico arriva dopo due ore e mi suggerisce di posticipare. Bene, nessun problema. Provo a contattare il tuo vedovo, ma per quanti sforzi faccia, non ci riesco. Va bene, lo aspetterò all’ora stabilita e gli dirò che l’appuntamento è spostato. Ma quando lui arriva, mi dice che non può posticipare perché, giustamente, deve andare a riprendere vostra figlia a scuola, una scuola tipica di “sinistra”, ossia dalle suore, dove si pagano fior di soldi. Ah, non è una scuola di sinistra? Ma non erano quelli di destra che mandavano i figli alle scuole private, pagando tanti bei soldini? E allora, perdonami, perché non avete optato per la scuola statale come ho fatto io? Ah, forse perché la scuola statale è diventata di destra… Accidenti, non me ne ero accorta, stavolta sono diventata io la sbadata. Ah, non è di destra? Allora non ci capisco più nulla.
Insomma, per fartela breve, ho proposto di accompagnarlo per mostrargli dove fosse il patronato e poi ci avrebbe pensato da solo, visto che ormai ha cinquant’anni e lo reputo… pardon, reputavo una persona matura. E durante il tragitto scopre che il patronato è di destra… Apriti cielo!
Come? Cosa cambia? Non lo so. So solo che ha esitato, iniziando a dire: “Ma io sono esattamente all’opposto! Come faccio a entrare lì? Se mi vedono che figura ci faccio?”
Eh, eh! Pensavo scherzasse, e ce n’era ben donde! Non mi era mai capitato di entrare in un negozio e chiedere al proprietario se fosse di destra o di sinistra prima di decidere se acquistare da lui la roba! O forse adesso si fa così e anche qui non me ne sono mai accorta?
Probabilmente avrei fatto meglio a fermarmi e suggerirgli che, se entrare lì dentro andava contro i suoi alti ideali, io lo capivo benissimo! Sai, certa gente andrebbe presa in giro come merita, ma, sempre per tuo ricordo, l’ho accompagnato fin lì. Davanti alla vetrata si è fermato, dicendo: “Va bene così, ora so dov’è.” E stava per tornare indietro senza neppure entrare, ma un altro mio amico che lavora lì mi ha visto ed io non ci ho pensato due volte a entrare e salutarlo. Il tuo vedovo ha dovuto ingoiare il boccone amaro e seguirmi, anche se penso mi avrebbe volentieri infilzato a coltellate. Per fartela breve, si è fatto dare il numero di telefono, nonostante poteva benissimo lasciare le carte e tornare a riprendere il tutto in seguito. Amica mia, te lo avrei fatto vedere: sembrava sui carboni ardenti, come se quei due minuti trascorsi nel negozio l’avessero contaminato come un appestato. O forse sono rimasta appestata anche io e non me ne sono accorta? Accidenti, ma di quante cose non mi accorgo più ultimamente? Sto invecchiando, a quanto pare! Ma non sarà che io a queste cose non ci ho mai fatto caso perché per me non hanno importanza? Non so che dirti, però ti assicuro che ci sono rimasta malissimo. E ancor più tornando verso casa, quando se ne è uscito fuori accusando ripetutamente un certo dolore al ventre, causato dal fatto di aver somatizzato… Sì, sì, hai capito bene! Sono rimasta trasecolata. Anche tu? Pensavo lo conoscessi, visto che era tuo marito, e pensavo gli avessi riferito, all’epoca, del patronato di destra che vi aveva aiutato…
Sempre perché ti sono amica, ho fatto finta di nulla, anzi, ho sdrammatizzato dicendo: “A una certa età escono fuori tutti i dolori!”
Ecco, volevo farti sapere come si è comportato il tuo vedovo verso una persona che gli aveva fatto un favore immenso, come tu avevi all’epoca riconosciuto, a differenza dei vostri “amici” di sinistra. A quanto pare lui non ha capito e sono certa che non chiamerà per avere il favore ed io reputo più saggio che non lo faccia.
Comunque sia, ci tengo a precisare che per me rimarrai una bellissima persona, a differenza del tuo vedovo, e che noi avevamo capito che sinistra o destra non sono di vitale importanza nella vita quotidiana, ma basta avere il buonsenso e tutto si risolve.
E dimmi: almeno là dove ti trovi ora, esiste il buonsenso? Spero ardentemente di sì!

domenica 6 febbraio 2011

Stralcio da "Il richiamo del silenzio"

Aprì gli occhi lentamente, non riuscendo a capire cosa fosse successo, ma avvertì subito un malessere vago in tutto il corpo. L'orologio al quarzo indicava le undici di mattina, ma non riuscì a fare il calcolo di quante ore fosse rimasto incosciente. Qualcosa lo stava schiacciando, l'avvertiva all'altezza del petto e con un grosso sforzo alzò un braccio per cercare di liberarsi dal peso opprimente. Affondò le dita in una massa voluminosa di capelli ricci e l'adrenalina gli salì alle stelle. A fatica riuscì a sollevarsi sul sedile e abbassò lo sguardo sulla testa di Alice.
-Ehi, dolcezza... Svegliati, non fare stronzate...- sussurrò debolmente.
Ma lei non si muoveva e Tiziano allungò d'istinto una mano verso il cruscotto per prendere una siringa. Al tatto riconobbe quella giusta, afferrò un braccio dell'amica, tastò in cerca di una vena e iniettò il narcan, sperando di essere ancora in tempo. Attese che il farmaco facesse il suo effetto e nel frattempo cercò di recuperare tutte le facoltà, pulendosi alla meglio dalla saliva che aveva perso. Si guardò allo specchietto e per poco non gli prese un colpo: sembrava un morto redivivo e quello spavento l'aiutò a riprendersi un po'. Sollevò Alice dal suo petto e la stese sul sedile, chinandosi su di lei per vedere se fosse viva. Il cuore non si sentiva, le membra erano gelide e rigide e provò a scuoterla. Quando si rese conto che non reagiva e non usciva dal coma, mise in moto e partì dirigendosi al più vicino ospedale, correndo come un pazzo in mezzo al traffico caotico di Roma, la mano premuta sul clacson per far scansare le vetture, in bocca una litania che alternava tutti i santi del calendario ai turpiloqui più scurrili che avrebbero fatto arrossire uno scaricatore di porto.
Il poliziotto all'entrata lo bloccò e lui si sporse dal finestrino, balbettando concitato:
-Emergenza... L'accettazione donn... uomini... È in overdose...-
L’agente studiò prima lui, poi Alice, infine alzò la sbarra e Tiziano schizzò dentro, sfiorando un paio di pedoni che lo maledirono, quindi frenò bruscamente davanti al pronto soccorso. Si precipitò all'interno, guardandosi intorno in mezzo alla bolgia di gente, artigliò poco gentilmente per un braccio la prima infermiera che gli capitò davanti e trascinandola di peso fuori del reparto disse esagitato:
-Una barella... Sta male… La mia amica sta morendo!-
Dopo il primo attimo di spavento, la ragazza si avvicinò al Suzuki e sbirciò all’interno, rendendosi subito conto della gravità della situazione.
In breve tempo giunsero i portantini, depositarono Alice sulla barella e la dirottarono al reparto donne. Tiziano la seguì e prima che l'infermiera gli chiudesse la porta in faccia riuscì a dirle:
-Ehi, Alice è un uomo... È sieropositiva...-
-Un uomo?-
-Sì... Ho provato a farle un'iniezione di narcan, ma non è servito a niente.-
La ragazza, a occhi sgranati per la sorpresa, corse a fermare i portantini e in un attimo Alice fu dirottata all'accettazione uomini, sotto lo sguardo attento di Tiziano. L'infermiera gli ordinò di aspettare fuori e prima di lasciarlo chiese:
-Sicuro di sentirti bene?-
-Io... Sì, sto bene. Tu pensa a salvare Alice.-
-Ti raggiungo tra un po' per compilare la cartella. Aspettami qui.-
Spossato e al limite delle forze, si lasciò cadere su una sedia, ignorando le occhiate di disgusto, paura e disprezzo che gli lanciava la gente in attesa come lui e iniziò a ingoiare una pasticca dietro l'altra di roipnol. Allungò le gambe, appoggiò la testa al muro e incrociò le braccia al petto dopo essersi messo gli occhiali a specchio. Osservò le persone intorno a sé dall'aria distrutta e con gli occhi rossi di pianto e sospirò. C’era chi se la passava peggio di lui.
Quando l'infermiera riapparve facendogli cenno di seguirla, si alzò e si ritrovò in una stanzetta asettica, piena di fascicoli, cartelle, garze, siringhe, tubetti, provini, cotone, forbici e una marea di altre cose. Un portantino stava sistemando alcuni flaconi in una vetrinetta e riconobbe il metadone.
-Accomodati.- invitò la ragazza sedendosi a sua volta alla scrivania e prendendo una cartella bianca. -Mi occorrono le generalità del tuo amico.-
-Del mio amico?- ripeté senza capire, distogliendo l’attenzione dalla vetrina di fronte a sé.
-Di... Alice.-
-Ah!- esclamò lasciandosi cadere sulla sedia. -Si chiama Alice, è nata nel 1969, ha iniziato a fumare nel 1983, a farsi nel 1985, ha contratto l'HIV, è sifilitica, ha continue crisi epatiche...-
-Ehi, calma! Ok? Andiamo per ordine. Voglio sapere il suo vero nome.-
-Alice.-
-Il vero!-
-Alice.-
L'infermiera inspirò profondamente, ammonendosi di non perdere la calma e ripeté picchiando l’indice sulla cartella:
-Io qui devo scrivere il suo vero nome, capisci?-
-Ed io ti ripeto che lei è Alice. Alice e basta.- ribatté Tiziano guardandosi intorno.
-Ok. Alice, allora.- accettò rassegnata.
Il portantino gli lanciò un’occhiata di sbieco ma non disse nulla, mentre un paio di dottori, con fonendoscopio intorno al collo, entrava parlottando di un paziente con poche speranze di sopravvivenza, ignorando volutamente i presenti. Dopo averli squadrati e reputati inoffensivi, Tiziano tornò a concentrarsi sull’infermiera e chiese preoccupato:
-Come sta?-
-Hai detto che è nato nel '69?- domandò la ragazza facendo finta di non averlo udito.
-Come sta?-
-Le domande le faccio io! Ha vent’anni, vero?- sbottò esasperata, pensando che quella mattina ne aveva già viste e sentite troppe per dar retta pure a un tossico.
-Sì.-
-Cosa si inietta oltre all'eroina?-
-Cocaina.-
-Il tutto in quantità?-
-Non meno di due grammi al giorno.- rispose vagamente, fissando la penna che correva veloce sulla cartella prendendo appunti.
-Da quando è in overdose?-
-Da ieri sera.-
-Perché non l'hai portato prima?-
Tiziano abbozzò un sorriso e si sporse sulla scrivania, alitandole in faccia:
-Perché mi sono risvegliato solo un'ora fa dopo l'ultima colossale pera.-
L’infermiera si scansò istintivamente e domandò:
-E gli hai iniettato tu il naloxone?-
-Il narcan, sì.- rispose a detti stretti. -Ma a te che cazzo te ne frega?- ribatté riappoggiandosi allo schienale della sedia.
-Devo sapere tutto di lui. Come ti procuri il naloxone?-
-Senza offesa, ma sono cazzi miei.-
L’infermiera picchiettò la penna sul tavolino e infine chiese:
-Quando ha saputo di essere sieropositivo?-
-Poco tempo fa.-
-Quanto?-
-Due mesi, tre, quattro, un anno, che differenza fa?- sbottò adirato.
-Genitori?- chiese esasperata, insofferente alla ritrosia di Tiziano e alla puzza che emanava.
-No.-
-No, cosa? No, non li ha, oppure no, non li conosco?-
-No e basta.-
-Cosa fa per vivere?-
-Marchette.-
A quella risposta l'infermiera alzò rapidamente gli occhi dalla cartella e lo scrutò a lungo. Tiziano si raddrizzò sotto quell’esame e sogghignando disse:
-Hai capito male, dolcezza: io sono normale in tutti i sensi. Non me la faccio con Alice.-
-Non ti ho chiesto niente. Dove abita?-
-Con me.-
-Dove?-
-Seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino.- rispose caustico. -Insomma, mi vuoi dire come cazzo sta? A che ti servono queste stronzate se dovete dimetterla?-
-Stavolta hai capito male tu: il... la tua amica la ricoveriamo perché non esce dal coma. Hai capito?-
Tiziano la fissò trasecolando, sbatté le palpebre come per schiarirsi le idee e ripeté:
-In coma? In coma? Non siete riusciti a svegliarla?-
-No. Quindi rispondi alle mie domande senza fare lo spiritoso. Domicilio?-
-In coma... È ancora in coma... Che significa? Morirà?-
-Non lo sappiamo.-
-Non lo sapete?-
-No. Dove abita?-
-A ’fanculo abita! Mi dici a che cazzo ti serve saperlo se poi lei morirà?- urlò balzando in piedi e battendo i pugni sul tavolo con una violenza dettata dalla paura.
La ragazza sobbalzò per lo spavento e lo guardò dritto in faccia, mentre il portantino si avvicinava alla scrivania con aria cupa, pronto a difendere l’infermiera e i due dottori si giravano allibiti a guardarlo.
-È inutile che ti scaldi.- cercò di placarlo con il tono più professionale che riuscì a trovare. -Di là stanno facendo il possibile per salvarlo, quindi calmati.-
-Voglio vederla.-
-Impossibile.-
-Voglio vederla!-
-Impossibile!-
Tiziano esitò un attimo, lasciò vagare lo sguardo sugli uomini presenti, quindi sorrise e se ne andò come un diavolo. L’infermiera lo rincorse, ma lui salì sul Suzuki e sparì così come era apparso.