sabato 30 gennaio 2010

Aforisma

"Si rimane giovani finché si riesce ad imparare, assumere nuove abitudini e sopportare le contraddizioni." M. Von Ebner-Eschernbach

lunedì 25 gennaio 2010

Aforisma

"Ogni giorno bisognerebbe ascoltare almeno una canzone, leggere una bella poesia, vedere un quadro e, se possibile, dire alcune parole sensate." Goethe

giovedì 21 gennaio 2010

Aforisma

"La medicina crea persone malate, la matematica persone tristi e la teologia peccatori".
M. Lutero

mercoledì 13 gennaio 2010

Stralcio da "Agemina"

L'aquila, estate 1294
Tancredi inspirò a fondo la frescura dell'alba e subito dopo sbadigliò e si stiracchiò, la testa che gli girava come una giostra e gli pulsava come un tamburo. La nottata era trascorsa all'insegna dei sollazzi e del divertimento, essendo l'ultima che trascorrevano nella città ed avevano pensato bene di festeggiare in compagnia di Bacco e Venere. Si avvicinò alla fonte per sciacquarsi il volto assonnato ed intontito dal vino e si girò per osservare il suo signore che lo seguiva con passo incerto. Non era la prima volta che si concedevano nottate all’insegna del diletto, ma di certo era la prima in cui l’amico aveva abusato di alcool.
Jano passò una mano tra gli spioventi capelli e si massaggiò la nuca dolorante. Era ancora stordito dal vino bevuto durante la nottata ed i postumi non erano certo un bel risveglio. La testa gli doleva ed ogni minimo rumore gli rimbombava nelle meningi al solo scopo di farlo impazzire.
-Mai più.- mormorò lasciandosi cadere pesantemente sul bordo della fontana.
Tancredi, anche lui dolorante, piegò le labbra in un ghigno e rispose:
-Mai più fino alla prossima.-
-Non ci sarà una prossima volta per me.-
-Oh, sì che ci sarà.- bofonchiò immergendo la testa nell'acqua fresca.
Jano lo guardò con un sopracciglio alzato, chiedendosi se fosse impazzito ed attese che riemergesse. Dalle stalle vide uscire Luchino che conduceva il suo destriero e poco più in là gli uomini e gli scudieri che si preparavano alla partenza.
-Non avete una bella cera, mio signore, lasciatevelo dire.- notò il ragazzino.
Jano grugnì e tornò ad osservare Tancredi, ancora immerso. Ma cosa faceva? Aveva deciso di suicidarsi? Con lentezza si alzò ed agguantò il collo dell'amico, costringendolo a tirare fuori la testa dall'acqua. A quel punto Tancredi tossì e si piegò in avanti, respirando a fondo.
-Se hai deciso di morire fallo, ma non davanti a me.-. l'ammonì Jano.
-Oh…- gemette il cavaliere tenendosi la testa.
In lontananza si stava preparando l'esercito di Carlo II, il quale aveva deciso di trasferirsi a Napoli e di portarsi dietro il pio papa per non lasciarlo nelle grinfie del Caetani. L'ottuagenario Celestino V non aveva fatto obiezioni e tutta la corte si preparava a partire, approfittando della frescura del mattino. I cardinali, però, avevano alzato irose proteste, dichiarando che la sede papale era a Roma e che lì il papa doveva recarsi, per prendere possesso di S. Pietro. Dal canto suo, il re non aveva voluto ascoltare e, lasciandosi alle spalle le beghe tra Orsini e Colonna, aveva organizzato il viaggio nei minimi particolari; in pratica aveva preso in ostaggio il vicario di Cristo, con buona pace di tutta la cristianità.
-Napoli…- mormorò osservando gli armigeri che si preparavano.
-Dovresti rinfrescarti, ti farebbe bene.-. consigliò Tancredi scuotendo i capelli bagnati. -Il viaggio sarà lungo ed estenuante.-
Jano si passò una mano sul volto, pensando che solo una bella dormita l'avrebbe rimesso in sesto; alla fine annuì, troppo debole per ribattere ed immerse la testa nella fontana. L'acqua fresca ebbe l’effetto di una scudisciata che lo ringalluzzì e quando tornò a respirare si sentì quasi meglio.
-Diavolo. Hai ragione, vecchio mio.- ammise strizzandosi i capelli.
-Non è la mia prima sbornia.-
-Allora sei senza speranze.- rise.
Tancredi piegò le labbra mostrando i denti ed il suo signore lo guardò a lungo, ringraziando mentalmente Iddio per avergli dato un amico simile. Era di pochi anni più grande di lui, ma avevano studiato insieme sotto insistenza di sua madre che, contravvenendo ad ogni indottrinamento religioso, aveva chiesto ed ottenuto dal marito il permesso di poter insegnare a leggere e scrivere al suo popolo, affinché almeno gli abitanti di Roccagelata non fossero ignoranti e comprendessero ciò che accadeva intorno a loro. Chiaramente solo alcuni avevano accettato, considerando lo studio solo una perdita di tempo; nonostante ciò lei aveva preteso che almeno i nobili imparassero il latino e che fossero in grado di leggere e scrivere. Il vecchio prete aveva urlato e sbraitato, ben sapendo che l'ignoranza era la solida base su cui posava tutta l'istituzione della Chiesa: se le persone avessero iniziato ad avere una coscienza, dove sarebbero giunti? In ogni modo aveva cercato di ostacolarla, giungendo persino a minacciarla di scomunica, ma lei non aveva ceduto, donando un briciolo di coscienza ai suoi vassalli, per renderli partecipi della verità. In un mondo dove l'imperativo ed il vanto erano di non sapere leggere né scrivere, i giovani di Roccagelata avevano accettato di venire istruiti e si erano visti ricompensati da una diversa visuale del mondo.
Oltre allo studio, insieme avevano imparato l’arte della seduzione, frequentando meretrici d’alto borgo in compagnia di Orso ed Ettore e quelle lezioni l’avevano attratto molto più del latino o della matematica.
Luchino andò a prendere il cavallo di Tancredi ed il proprio baio e tornò alla fontana conducendo le due bestie per le redini.
-Vado a dare ordini ai nostri uomini.- annunciò Tancredi montando a cavallo.
Jano salì sul proprio con un sospiro e girò lo sguardo verso gli Appennini, dove si celava Roccagelata, per lui ancora inavvicinabile. Aveva spedito Fracasso, un suo paggio, a casa con una lettera dove annunciava che sarebbe partito per Napoli al seguito del re e l’aveva invidiato quando lo aveva visto partire per le sue terre. Rivolse una preghiera a Dio affinché supportasse sua sorella e pregò anche per la buona salute di Vidicungo prima di spronare il destriero.


Roccagelata, estate 1294
Quella sera, a cena, Vidicungo vide il proprio posto usurpato da Braccio, che si dilettava a cinguettare con Gelina e le tagliava succulenti e teneri pezzi di pavone, corteggiandola sfacciatamente. Ruggero sedeva in fondo al desco, come sempre attento a tutto ciò che lo circondava e fu uno dei pochi a notare l'assenza di Orso.
Padre Alfio, che sedeva al lato di Gelina, aveva una faccia scura e contrita e cercava in ogni modo di attrarre la sua attenzione per farla tornare sulla retta via. Ma lei era presa dal bel cavaliere che la ricopriva di attenzioni e che nel pomeriggio le aveva fatto capire che desiderava chiedere la sua mano a Jano. Era rimasta così sorpresa che non aveva saputo cosa rispondere e si era limitata a scambiare un'occhiata con Alina.
Tutto era accaduto in un alone di romanticismo tale che quasi le erano venute le lacrime agli occhi. Braccio si era presentato con il vestito più bello e sfarzoso, aveva salutato Alina con un inchino e si era rivolto a lei in un perfetto salamelecco, sorridendole con una luce in viso che avrebbe fatto illividire il sole. Dopo i convenevoli, si era inginocchiato, aveva portato una mano al cuore e con aria rapita e tono vibrante le aveva dichiarato il suo eterno amore.
Le due donne erano rimaste incantate, ma non Ruggero, che aveva seguito la scena da un angolo della stanza, quasi nauseato da tutte quelle smancerie logorate dall’uso. Non riusciva a capire per quale motivo il suo amico si fosse incaponito con quella ragazza, che certamente era bella ma che non era l'unica donna al mondo. Aveva sentito Gelina che gli chiedeva tempo per avvisare il fratello e lui che la pregava di aspettarlo, che sarebbe tornato quanto prima per ufficializzare la richiesta. Quando avevano lasciato la stanza, Braccio aveva scambiato con lui uno sguardo trionfante, pronto a cogliere il frutto maturo a due mani.
Ora, guardarlo mentre continuava a circuire la sua vittima, gli dava un senso di fastidio che non sapeva spiegare. Approfittando del momento in cui tutti erano assorti nell'ascoltare un cavaliere che cantava, uscì dal salone e si diresse verso la posterla. Alcuni servi lo guardarono curiosi, senza dire nulla e lui guadagnò l'uscita laterale, uscendo nel fresco della sera. Alcune torce illuminavano il cortile, circondato dalle mura massicce ed alte, dove svettavano merli ghibellini talmente grossi che dietro potevano nascondersi anche tre uomini. Il cammino di ronda era sufficientemente largo da permettere il passaggio in contemporanea di due militi e giungeva ad una bertesca spaziosa che si affacciava sul fossato. Il solo fossato era una mirabile opera dell’ingegno della mente umana: dove non passava acqua, i genieri erano riusciti a convogliare un affluente del Liri che ora, prima di gettarsi nelle acque del fiume maggiore, generosamente riempiva il fossato profondo almeno cinque metri.
Per un po' gironzolò nel cortile, la mano posata distrattamente sull'elsa del pugnale legato in vita, studiando un possibile punto debole nella struttura. Un cane gli si avvicinò per annusarlo, per poi andarsene dopo averlo riconosciuto. Alcuni soldati facevano la ronda al chiarore delle torce e lì, sopra il camminamento, Ruggero intravide il biondo caschetto di Orso. Si accorse che anche lui lo stava studiando e rimasero a fissarsi a distanza, come due contendenti pronti a sbranarsi.
-Cercate qualcosa?- domandò Orso.
-No. Passeggiavo.-
-Al lume delle torce è oltremodo romantico.- lo schernì.
Ruggero annuì appena al sarcasmo e serrò il pugnale nella mano. Gli sarebbe stato sufficiente un movimento per estrarlo e lanciarlo contro lo strafottente menestrello; tuttavia il dover poi dare spiegazioni lo fece rinunciare all’allettante visuale.
-Se vi infastidisce, rientro.-
-Riguardatevi la salute: da queste parti la sera è fresca ed è facile ammalarsi.-
L'invito non poteva essere più esplicito e Ruggero girò sui tacchi e tornò sui propri passi, maledicendo Orso e pensando ad un altro modo per studiare le mura. Quando si trovò in un cono d'ombra, lontano da occhi indiscreti, deviò e proseguì la perlustrazione, stavolta sotto il bellissimo chiarore lunare, in sottofondo il richiamo di un barbagianni. In alcuni cespugli le lucciole brillavano ad intermittenza e si fermò per osservarle, affascinato da quelle minuscole creature che riuscivano da sole a creare la luce. Dalle sue parti non ce ne erano molte, raramente le si incontrava ed in genere i bambini si divertivano ad ucciderle per scoprire come facessero ad essere luminose.
-Bellissime, non trovate?-
Si irrigidì al suono di quella voce ed inspirò a fondo prima di girarsi a fronteggiare Orso. La luna piena gli risplendeva sul volto e sull'espressione pericolosa dei suoi occhi e fece uno sforzo per sorridere.
-Sì, bellissime.- convenne.
Orso gli fece un cenno con la mano e Ruggero stavolta non poté esimersi dal rientrare, seguito come un'ombra dal menestrello.
-Il vostro comportamento potrebbe offendermi.- gli disse reprimendo la collera.
-Offendervi? Dubito vivamente che esista al mondo qualcosa che possa oltraggiarvi.-
A quelle parole, Ruggero si girò di scatto e gli si avvicinò pericolosamente, pronto a menare le mani. Per nulla intimorito, Orso si fermò e rimase immobile a fronteggiarlo.
-Coraggio.- lo invitò con un sogghigno.
Ruggero non se lo fece ripetere e sferrò il primo di una lunga serie di pugni che l'altro evitò e bloccò, rispondendo a sua volta. La scazzottata si protrasse per un po', fin quando un gancio colpì la mandibola di Orso e lo lasciò frastornato. Ruggero approfittò del vantaggio e gli assestò un secondo colpo, facendolo stramazzare a terra. Senza pensarci oltre gli sferrò un calcio ma Orso gli agguantò la caviglia e lo trascinò a terra, dove continuarono a battersi fino allo sfinimento. Solo l'intervento di una guardia, che aveva udito i rumori, li costrinse a fermarsi, tumefatti e sanguinanti e per nulla contenti dell'interruzione. Si rialzarono a fatica, ansanti, sudati e scapigliati, e si fissarono in cagnesco, pienamente consapevoli della diffidenza e dell'astio che li animava.
-Buon viaggio.- salutò Orso sputando a terra il sangue che gli riempiva la bocca. -Spero di non vedervi mai più.-
Ruggero si pulì il labbro sanguinante sulla manica del farsetto e ribatté:
-Vale anche per me.-
Quindi, barcollando, si avviò verso la posterla, seguito dall'implacabile sguardo di Orso.

lunedì 11 gennaio 2010

花は桜木 ひとは武士

花は桜木
ひとは武士

Il migliore dei fiori è il ciliegio
Il migliore degli uomini è il bushi