martedì 14 giugno 2011

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giovedì 9 giugno 2011

Stralcio da "L'ombra della ginestra" - battaglia di Poitiers

L’aurora del 19 settembre vide l’esercito francese disporsi secondo gli ormai superati canoni della battaglia medievale, presi la sera prima di comune accordo tra il re e i suoi capitani. Le forze di attacco si stavano dividendo in quattro parti: in prima linea trecento cavalieri, scelti tra i migliori, agli ordini di John Clermont e Arnold d’Audrehem, uniti a mercenari tedeschi, muniti di picche, i quali avevano il preciso ordine di caricare i temutissimi, e a ragione, arcieri inglesi.
Dietro il primo gruppo si schierarono gli altri tre, formati da cavalieri scesi da cavallo, comandati, rispettivamente, dal Delfino, dal duca d’Orleans e infine, l’ultimo, dallo stesso Giovanni II.
Da parte sua, Edoardo si era assicurato il lato sinistro da un crepaccio naturale e le spalle da un bosco, mentre il lato destro era stato occupato dai pesanti carriaggi pieni di bottino. Tutti i cavalieri erano scesi da cavallo ed erano stati divisi in tre gruppi, mentre gli arcieri si erano posizionati a forma di V, in modo da contenere tutti i cavalieri, così come era avvenuto trionfalmente a Crécy. Nei boschi, Edoardo lasciò un’unità di cavalleria, comandata da Captal, nascosta agli occhi avversari.
Instancabilmente, in ambedue gli schieramenti, i preti passavano a benedire e a fare le veci del viatico, ricordando a ogni uomo di compiere il proprio dovere davanti agli occhi del Signore e che il regno dei Cieli li avrebbe attesi con canti e squilli di trombe e che, sicuramente, il Signore si sarebbe ricordato di loro nel giorno del giudizio.
Tutto era pronto per la battaglia e il cielo settembrino lasciava supporre che sarebbe stata una bella giornata di sole, adatta a un combattimento.
-A guardare da qui,- mormorò John preoccupato, agitandosi sul suo cavallo ricoperto di cotta in maglia, -i francesi sembrano terribilmente tanti.-
-No, non sembrano.- lo corresse Edoardo, lo sguardo cupo. -Lo sono. Forse, tutto sommato, ci conviene ritirarci.-
Il capitano si voltò a guardarlo con occhi sgranati e intravide il volto teso del suo signore, che fissava ansioso il terreno di battaglia nella vallata che si stendeva sotto di loro. Il silenzio quasi irreale durò fino alle otto, quando, dopo aver visto un falso cedimento sul fianco destro inglese, la cavalleria francese ruppe gli indugi.
Il rumore degli zoccoli che si abbattevano sul terreno, pareva un boato sinistro che si avvicinava sempre più e le urla degli uomini erano agghiaccianti. Tutti gli uccelli che avevano trovato rifugio nei boschi intorno, volarono via, dispiegando le ali con una frenesia tale che Edoardo, John e Robert alzarono lo sguardo per vederli fuggire via.
Gli inglesi schierati sul campo rimasero immobili, niente affatto intimoriti dalle urla, mentre gli arcieri si preparavano a scoccare i loro micidiali dardi.
Lothar e Ludovico si scambiarono un’occhiata, le armi già in pugno, privi dei loro scudieri che avevano lasciato a protezione di Kamilla, consapevoli che quel giorno poteva essere l’ultimo della loro esistenza terrena ed erano pronti a viverlo al meglio, consegnando alla storia il loro onore intatto. Fissarono i cavalieri francesi avanzare, in testa i loro comandanti con pennacchi sugli elmi dai colori sgargianti, e un attimo dopo li videro finire a terra, falciati dalle frecce inglesi.
Fu il segnale.
Come un sol uomo, l’esercito anglo-guascone si gettò nella mischia, rovesciandosi come una furia selvaggia sui cavalieri disarcionati, impossibilitati a rialzarsi a causa della pesante armatura. Fu una strage.
A quel punto, orripilato dallo scempio che si svolgeva sotto i loro occhi, il secondo battaglione, comandato dall’inesperto Delfino, corse generosamente in aiuto del primo e ingaggiò una feroce lotta contro il nemico.
Lothar e Ludovico combattevano fianco a fianco, protetti dal contingente tedesco, ignari di tutto quello che li circondava, tranne dell’uomo che si trovavano di fronte di volta in volta in una sorta di duello infinito. Le spade, le mazze ferrate, le alabarde, le picche, i mazzafrusto: ogni arma era buona pur di abbatterla sul nemico e vederlo cadere esangue, in uno scempio di carne e arti staccati di netto.
Come per magia, quello che restava della cavalleria franca e lo stesso Delfino, iniziarono a indietreggiare, incalzati dai fanti nemici, che combattevano come leoni.
-Mio signore, sembra… sembra che la battaglia ci stia rovinando addosso.- notò con tono apprensivo uno dei luogotenenti del duca d’Orleans.
Questi, rigido sul suo destriero, gli occhi sgranati per l’orrore e il terrore, d’un tratto si vide venire incontro l’intera battaglia come un’onda gigantesca in rotta libera e il panico lo aggredì. Non fece neppure in tempo a dare il segnale di ritirata ai propri uomini, perché anche questi, vista la situazione, si sbandarono ignominiosamente e corsero a rifugiarsi a Poitiers.
Edoardo, al riparo nel bosco con la cavalleria, piegò le labbra in un sorriso e si girò verso Robert e John, annuendo soddisfatto.
Dal canto suo, Giovanni II rimase atterrito nel vedere il proprio esercito allo sbando e maledisse il duca d’Orleans che lasciava suo figlio e gli altri nobili a difendere da soli l’onore della Francia.
-Sire…- mormorò un alfiere al suo fianco, stralunato e attonito.
Il regale cavaliere restrinse gli occhi e serrò le redini, quindi si volse verso l’alfiere che portava il suo gonfalone, l’Orifiamma, e disse:
-Date ordine di avanzare. Oggi, qui a Poitiers, o si vince o si muore.-
Dalla sua posizione, Edoardo vide muovere il quarto e ultimo battaglione, capitanato dal re in persona e i suoi occhi brillarono di eccitazione quando si posarono sull’Orifiamma. Fece un cenno a Captal, in attesa con i suoi uomini sull’altro lato della collinetta e questi diede il via: la cavalleria sarebbe uscita dal bosco per accerchiare i combattenti e terminare così la battaglia.
Senza fretta, Edoardo indossò la barbuta, ornata da uno zuccotto rosso circondato di pelliccia d’ermellino, sormontato da un leone e, levata la spada, si gettò con il suo contingente nella mischia, diretto verso il faro che lo attirava come una falena: l’Orifiamma.
Lothar e Ludovico si accorsero dell’arrivo della loro cavalleria, accompagnato da un urlo selvaggio e incitarono gli uomini a battersi con maggior vigore, indicando il vessillo reale come punto di arrivo. Così, in quell’ora tragica, i cavalieri francesi si batterono come leoni per salvare il proprio re e il proprio onore, ma i fanti inglesi parevano un muro compatto e insormontabile, contro il quale continuavano a scornarsi senza riuscire a sfondarlo.
-I cavalli!- urlò Lothar a Günter, indicando i destrieri che avevano disarcionato il proprio cavaliere francese e che vagavano come impazziti.
In un batter d’occhio, il contingente tedesco si impadronì delle bestie e formò una cavalleria alla buona, andando alla carica verso il centro della battaglia.
Al calar del sole, il campo era ormai cosparso di cadaveri e feriti e il sangue pareva essere ovunque, mentre le urla e gli echi della battaglia scemavano inevitabilmente, simile a un sudario che si posava sull’intera vallata. Pochi soldati si battevano ancora per l’onore di un re e di un paese che non avrebbe trovato pace facilmente.
Edoardo, con l’armatura ricoperta di sangue non suo, avanzò sul proprio destriero verso il cerchio formato dai suoi uomini e si fermò vicino a Lothar. Si guardarono, per accertarsi di non essere feriti, contenti di ritrovarsi ancora vivi, quindi lo sguardo si posò sull’Orifiamma caduto a terra. Lì, circondato da pochi fedeli, tenuto in scacco dal contingente sassone, Giovanni II respirava affannosamente per lo sforzo sostenuto e fissava dal basso verso l’alto il vincitore. Suo figlio Carlo, il Delfino, era con lui.
Tutto intorno era solo morte e distruzione, lamenti dei feriti e preghiere dei preti che arrancavano in mezzo alle migliaia di cadaveri sparsi per terra.
Edoardo scese da cavallo e si avvicinò al re francese, dicendo:
-Maestà, siete mio prigioniero. L’Inghilterra ha vinto.-
-Sì, avete vinto una battaglia leale.-
-Permettete che vi scorti fino a una cavalcatura.-
In silenzio, tristemente, ciò che restava dell’esercito francese, il più vasto del XIV secolo, venne fatto prigioniero e seguì gli inglesi fino al loro rientro a Bordeaux. La temuta battaglia si era conclusa, alla stessa maniera di Crécy, con una schiacciante vittoria inglese, dove il Principe Nero, contravvenendo a ogni canone di strategia e tattica, aveva ancora una volta sottolineato che la cavalleria aveva ormai fatto il suo tempo.