giovedì 23 dicembre 2010

Auguri

Un sincero augurio di buon Natale a tutti e... non mangiate troppo! :-))))

giovedì 16 dicembre 2010

Per gli amanti del fantasy - Secondo capitolo de "La spada bianca"

Misi la pentola sul fuoco per cucinare il pugno di legumi che erano rimasti e vidi Zephyr con la spada in mano. La guardava con adorazione e rispetto, quasi fosse stata una sacra reliquia e la cosa mi divertì. Non era la prima volta che si interessava a quell'arma: già in precedenza l'avevo sorpreso mentre la prendeva in mano per studiarne le rifiniture ed il filo, ma non gli avevo mai detto niente, perché sapevo fin troppo bene cosa lo attraesse di quell'esemplare unico. Rimproverarlo non sarebbe valso a nulla, poiché tutte le volte era stato così: inconsciamente amava e venerava quell'arma.
-Sensei,- chiese all'improvviso, continuando ad esaminare l’arma, -un giorno mi insegnerete ad usarla?-
-A cosa ti servirebbe?-
Distolse lo sguardo e mi fissò a lungo con quegli occhi penetranti e misteriosi e rispose:
-Non so. C'è molta gente cattiva e mi piacerebbe sapermi difendere.-
Annuii vagamente e risposi:
-Vedremo. Sei ancora troppo giovane e prima del braccio, occorre sviluppare la mente.-
Parve riflettere a lungo sulla mia risposta elusiva e questo mi lasciò libero di studiarlo con attenzione. Aveva nove anni e ne era già trascorso uno da quando l'avevo preso con me salvandogli la vita, ma sembrava più adulto, indubbiamente più maturo di un suo coetaneo.
Il volto efebico era dolce ed attraente, atto a dissimulare il suo carattere coriaceo ed inflessibile; i suoi occhi dal taglio grande e dalle lunghe ciglia erano di un verde chiaro che rasentava l'azzurro ed a volte la loro espressione risultava ineffabile. Aveva bellissimi capelli voluminosi e lunghi che, di tanto in tanto, mi prendevo la briga di tagliuzzare, di colore tra il candido e l'azzurro.
Nonostante l'aspetto infantile, ero sicuro che da grande sarebbe diventato più attraente, se non altro per confermare la sua provenienza.
-Sensei, voi quanti anni avete?-
Sorrisi divertito a quella domanda, consapevole di apparirgli come una reliquia.
-Imparerai, caro Zephyr, che non è il passare delle stagioni a far invecchiare un uomo. Posso avere cento, duecento anni e nello spirito conservarmi fanciullo. A volte l'apparenza può trarre in inganno, non dimenticarlo.-
Mi scrutò attentamente con quei suoi taglienti occhi verdi ed io mi sentii sezionare centimetro per centimetro. Era un buon inizio: doveva assolutamente imparare a valutare la persona che aveva davanti, in modo da non ricevere in futuro sorprese letali.
-Avrò molte cose da imparare prima di essere pronto, vero?-
Annuii e mi dedicai nuovamente ai legumi. Non gli chiesi cosa intendesse con essere pronto; era il suo Karma andare alla ricerca del fratello, una ricerca che sarebbe durata negli anni a seguire, una ricerca che lui neppure sapeva di effettuare.
-Parlatemi di voi, sensei.- mi invitò posando la spada e sedendosi a terra anziché sulla sedia.
Stavo per rimproverarlo, ma mi fermai in tempo: a cosa sarebbe valso? La maggior parte degli uomini, i meno abbienti, non aveva più sedie e tutti sedevano tranquillamente per terra; solo io avevo ricercato quella comodità per non far soffrire le mie ossa.
-Hai qualche domanda in particolare?-
-Be’ ... Perché vivete solo e lontano da qualsiasi villaggio?-
-Per risponderti dovrei narrarti la storia della mia vita e so già a priori che non gradiresti ascoltare un racconto lungo e tedioso. Ti dirò semplicemente che se ho scelto di isolarmi è stato esclusivamente per poter meglio sviluppare l'arte tramandatami dal maestro.-
-Arte? Anche voi avete avuto un sensei?- domandò senza riuscire a mascherare la sorpresa.
-E lui, a sua volta, ne ebbe uno, e così via fino a risalire ai primordi della vita. Maestri che si sono scelti un allievo per istruirlo alla sacra Via Divina, affinché potesse egli stesso, un giorno, diventare maestro e tramandare la Via Divina ad un nuovo allievo.-
-Voi siete l'ultimo.- constatò con semplicità.
-Per il momento.-
Mi fissò un secondo, quindi chinò appena la testa ed annuì con gravità, come un uomo maturo.
-Io sono il vostro allievo, vero?-
Non risposi perché anche questa, sebbene posta sotto forma di domanda, era una pura e semplice constatazione. Mi limitai a guardarlo di sfuggita negli occhi, quindi riposi nuovamente attenzione alla cena.
Mi divertiva la foga che metteva quel cucciolo nel voler imparare e capire e ripensai a quando anch’io ero stato giovane, inesperto, insicuro, ma con tanta voglia di arricchirmi moralmente e fisicamente.
-Cos’è l’arte della Via Divina?-
-Attendi una risposta precisa, suppongo; non posso dartela. E capirai da solo perché. Per ora sappi che secoli fa mi chiamarono stregone, mago, druido, ma la Via Divina non è niente di tutto questo: è lo studio delle potenzialità del corpo.-
Sapevo che mi stava scrutando, anche se gli davo le spalle e sapevo che, inconsciamente, non avrebbe fatto caso ai secoli ai quali avevo volutamente alluso.
-Allora non avete niente da insegnarmi: conosco già il mio corpo.-
Sorrisi condiscendente alla sua albagia e gli feci notare:
-Del tuo corpo conosci solo i limiti.-
Mi voltai per captare la sua occhiata fulminante e sentii il suo giovane orgoglio sanguinare di rabbia, come pugnalato a tradimento.
-Indubbiamente hai ancora molte cose da imparare,- continuai, -e di sicuro non ti basterà una sola vita. Ma farò in modo da colmare il vuoto che c’è in te.-

~

So che il momento del mio passaggio sta degradando all’orizzonte come il sole al tramonto e so anche cosa mi aspetta prima che mi sia concesso di unirmi al Vento Divino; ma non ho timore.
Da quando sono nato ho sempre avuto in mano il corso della mia vita e la conoscenza non ha mai bloccato le mie azioni. Eppure, come capita tutte le volte che giungo al termine, se ripenso a Zephyr ho nostalgia. Non dovrei, perché a causa sua io terminerò, così come io misi fine al mio maestro, ma quel legame che per anni ci ha tenuti uniti non si può cancellare facilmente.
All’inizio ero solo io a vivere la sua vita; col passare del tempo, imparando, lui stesso entrò nella mia e diventammo una persona sola, come io lo divenni con il mio maestro e lo diventerò di nuovo. Ma questo accadde molti anni dopo: per il momento Zephyr era ancora piccolo e vivevamo isolati dal resto del mondo, in quella catapecchia di due stanze che pomposamente chiamavo casa. Intorno a noi imperversavano crudeltà e barbarie, sentimenti che, nonostante la distruzione, l’uomo non era stato ancora in grado di estirpare dal suo essere. Sapevo che prima o poi ci saremmo imbattuti in quel mondo sanguinario e privo di scrupoli, ma facevo di tutto per ritardare quell’inevitabile giorno, cercando di insegnare a Zephyr parte della forza di Kamido.
-Perché devo imparare ad essere paziente?-
-È una conditio sine qua non. È il primo passo da compiere per guadagnare la perfezione.-
-State perdendo tempo, sensei: non diventerò mai paziente. Il sangue che scorre nelle mie vene mi spinge a vendicare la mia famiglia distrutta, il villaggio raso al suolo e la gente trucidata senza nessuna pietà. No,- concluse con una smorfia, -non imparerò mai ad avere pazienza se la mia mente ricorda quel giorno.-
Sebbene gelide parole gli uscivano dalla bocca, il tono era pacato, quasi sereno e questo non mi colse di sorpresa. Il suo autocontrollo era sempre stato notevole rispetto al mio quando avevo la sua stessa età e sapevo che quel pregio gli sarebbe stato utile per apprendere più alacremente.
-So cosa provi; posso sentirlo insieme a te. Ma ti assicuro che non è con l’istinto, con l’irrazionalità che risolverai qualcosa. Solo la pazienza ti renderà forte ed invulnerabile.-
-Siete un uomo saggio, sensei ed indubbiamente avete acquisito molta esperienza nella vita; ma non credo possiate comprendere il mio stato d’animo.- mi liquidò con un vago gesto della mano.
-Ecco il primo limite del tuo corpo: non credere. Il secondo è non avere pazienza.-
-Credere in cosa?-
Sorrisi appena rispondendo:
-Nel potere della mente.-
Ricordo ancora che l’espressione attonita dipinta sul suo bel volto mi diede fastidio. Il suo pensiero non era ancora in sintonia con il mio ed avrei dovuto lottare molto affinché esso si aprisse alla verità.
Ma col trascorrere degli anni l’allievo avrebbe superato il maestro, l’avrebbe annientato per poi, un giorno, essere distrutto a sua volta dal proprio allievo. Zephyr ancora non lo sapeva eppure io vivevo già il futuro, vivevo già la mia morte e tuttavia continuavo a vedere il futuro del mio allievo diventato maestro.

~

Passava la maggior parte del tempo meditando, concentrandosi per acquisire quella pazienza che gli mancava ed io, in segreto, ammiravo la sua tenacia. Era questa una delle cose che lo distingueva da me: voleva imparare tutto e subito ed io l'assecondavo entro i limiti concessi; in fondo, anche quello era un comportamento che palesava la sua impazienza. Nonostante questo piccolo neo, che col tempo sarebbe sparito completamente, non potevo desiderare allievo migliore.
Un giorno lo raggiunsi sulle rocce che costeggiavano il rigagnolo dal quale prelevavamo l'acqua e che scorreva placido accanto alla catapecchia e rimasi ad osservarlo a lungo, mentre i caldi raggi del sole davano maggior risalto alle sue lunghe ciocche cerulee.
Stava meditando e non lo disturbai. Mi sedetti sopra una roccia ed attesi, contemplando il desolato scenario che si stendeva a perdita d'occhio. Tutto l'intero pianeta ormai era deserto e rovine, macerie e polvere già da più di trent'anni, sotto il sole che bruciava tutto e tutti con il suo calore inesauribile. Ma avrebbe continuato ad esserlo ancora per poco e quando tornerò so già che non sarà più così, grazie a Zephyr ed al suo amico.
-Perché proprio io?- chiese all'improvviso.
Stava ancora in profonda concentrazione, eppure aveva avvertito la mia silente e discreta presenza.
-Ci sono persone,- risposi sommessamente, -a cui è dato odiare, altre amare. Ci sono persone a cui è dato intuire, altre capire. Vi sono persone, tu ed io, a cui è dato capire e conoscere.-
-Siete certo che sia proprio io quella persona?- domandò scettico.
-Lo so, il Karma pure. Tu me lo dimostri giorno dopo giorno.-
Rimase in silenzio e con la mente penetrai nella sua, condividendone le sensazioni e le emozioni. Vidi ciò che egli vedeva e rimasi incantato di fronte all'infinito paesaggio di ghiacci che affiorava dal suo subconscio. Armonia e poesia, pace e serenità erano le note dominanti che riempivano il cuore, creando sfumature sottili di sensazioni. E lì, sul ghiaccio bianco-azzurro, mi vidi come in realtà ero: un vecchio con la sua lunga barba bianca, le guance infossate, gli occhi eburnei circondati da rughe stanche e profonde, i capelli lunghi e candidi quasi sempre nascosti dall'enorme cappuccio; il mantello che mi ricopriva fino ai piedi, celava il corpo emaciato ma ancora pieno di vitalità. Sarei potuto sembrare un fantasma, tale era il mio aspetto, a tutt'oggi deteriorato ulteriormente, ma la luce che illuminava i miei occhi socchiusi dalle pesanti palpebre rivelava la forza che cercavo di occultare.
Anche Zephyr mi vide e sentii il suo corpo vibrare di incredulità.
"Siete proprio voi, sensei? Nella mia mente?” pensò esterrefatto.
"Ti meraviglia questo?”
"Noi... Noi stiamo comunicando!”
"È la prima volta che lo facciamo e questa è una conferma ulteriore: sei tu la persona giusta. Altrimenti non mi avresti neppure visto. La tua sensibilità è ancora debole, ma col tempo e con l'esercizio si consoliderà e quel giorno diventeremo una persona sola.”
L'attonimento e lo sforzo gli fecero perdere la concentrazione e si risvegliò sbattendo le palpebre, fissandomi come si può guardare per la prima volta qualcosa di meraviglioso, di inafferrabile e di inesplicabile. Sapevo esattamente quello che provava, senza dover penetrare nei suoi pensieri: era la medesima sensazione di sbalordimento e di impotenza provata a mio tempo.
Il rito continuava a ripetersi, instancabile e misterioso: le identiche emozioni, perplessità e curiosità.

martedì 14 dicembre 2010

domenica 12 dicembre 2010

Per gli amanti del fantasy - Primo capitolo de "La spada bianca"

Mi svegliai di soprassalto in piena notte, consapevole che quanto avevo sognato non era frutto di una fantasia sfrenata, bensì la realtà, una cruda ed amara realtà. Tutto il mio vecchio corpo era freddo, come se avessi dormito un sonno eterno, ma non mi meravigliai: del resto la vita e la morte per me erano due entità inscindibili che mi accompagnavano, e mi accompagnano tuttora, da tempo immemorabile.
Mi alzai dal giaciglio a rilento, presi il logoro mantello appoggiato su una sedia e lo indossai sopra i pantaloni e la camicia, anch'essi ridotti all'osso, forse più di me. Lo sguardo mi cadde sulla spada, una bellissima ed antichissima Katana, poggiata a terra accanto alla parete: sapevo fin troppo bene che dove stavo andando non mi sarebbe servita e la lasciai lì.
Mi avvolsi nel mantello, coprii la testa col cappuccio e mi affrettai ad uscire dalla catapecchia che mi ospitava già da molti anni, inoltrandomi nella notte fredda. Il cielo stellato, anche se opaco, mi indicò la via in mezzo al deserto e con il mio grave passo iniziai a camminare senza più la baldanza e lo spirito di un giovane.
Mi stavo dirigendo incontro a qualcosa che avrebbe mutato la mia esistenza e ne ero consapevole. Non era sesto senso, tanto meno una qualsiasi reazione emotiva a farmelo sapere, ma la mia perfetta conoscenza del passato e del futuro, così come conoscevo, e conosco, i segreti della vita e della morte.
Era scritto da tempo immemore che questo giorno sarebbe arrivato ed io non potevo fare nient’altro che accettare l'ineluttabile.
Mentre proseguivo nel cammino mi guardai un attimo intorno ed all'evanescente chiarore stellare vidi solo deserto e solitudine. La qual cosa mi era fin troppo familiare in quanto, da anni, avevo scelto di vivere isolato, da eremita ed i pochi sopravvissuti al disastro non sapevano neppure che esistessi. O meglio: erano certi che fossi morto, dato che avevo da un pezzo superato il secolo di vita.
Era quasi l'alba quando, infine, giunsi sul posto.
La scena che mi si presentò agli occhi era identica alla visione: il furgone era stato dato alle fiamme e lo scheletro annerito fumava ancora, alzando una colonna nera verso il cielo terso. Mi avvicinai e gettai un'occhiata all'interno e le ossa, o quello che restava, sparse sul posto di guida mi confermarono che l'uomo era stato dato alle fiamme insieme al furgone. Con un sospiro distolsi lo sguardo e scrutai intorno.
Un fiumiciattolo scorreva lì vicino, quasi seccato dal perenne calore del sole, e mi avvicinai osservando sconsolato il corpo sfigurato e mutilato di colei che nella visione mi era apparsa bellissima. L'acqua scorreva tra i suoi lunghi capelli e li faceva brillare come diamanti alla luce dell'aurora, mentre il braccio teso testimoniava che fino all'ultimo aveva cercato di proteggere qualcuno. Al suo fianco, lungo la sponda, giaceva riverso il corpo dell’altro ragazzo, poco più di un bambino e con sollecitudine mi diressi verso di lui. Mi inginocchiai e delicatamente lo rigirai, gli sollevai la testa scansandogli i capelli dal volto esangue, timoroso di essere giunto in ritardo ed al mio tocco le sue labbra pallide tremarono appena, facendomi tirare un sospiro di sollievo.
Con delicatezza lo presi in braccio, ignorando volutamente la ferita che gli squarciava in due il torace e dalla quale continuava a fluire sangue e mi accinsi a tornare sui miei passi, ben sapendo che l'altro bambino non l'avrei trovato.

~

Ricordo perfettamente che per un attimo il ragazzo morì; sentii la sua anima lasciarlo in silenzio, discretamente, pronta a tradirlo quando più aveva bisogno di lei, portandosi con sé i pochi anni di vita vissuta. A dispetto della mia esperienza, sapevo di non poter fare nulla: dovevo solo attendere.
Rimasi immobile al suo capezzale, con gli occhi chiusi ed una mano posata sulla ferita che avevo ricucito e che avrebbe lasciato una brutta cicatrice a perpetuo ricordo. Il suo cuore ancora giovane era fermo, ma sapevo con certezza che il suo cervello ed il suo corpo erano vivi e che invocavano a gran voce il ritorno alla vita.
Mentre ero lì in attesa che la sua anima tornasse, vidi il suo passato, così chiaro e limpido che mi parve di viverlo in prima persona.
All'inizio tutto era buio e non riuscivo a respirare, mentre mi dondolavo e mi rigiravo in un liquido sconosciuto che mi faceva sentire protetto. Provavo la sensazione di fluttuare in un universo scuro, senza luci e, nonostante il buio, non avevo paura. Capii che mi trovavo nell'utero materno e mi godetti quegli attimi privi di peso, dove mi muovevo con estrema facilità. Solo quando fu il momento di nascere qualcosa mi attanagliò lo stomaco, mentre venivo spinto dentro un cunicolo troppo stretto per la mia struttura fisica e sentii un dolore lancinante nell'attimo stesso in cui vidi la luce per la prima volta.
Ma se quella volta fu solo una sensazione, ricordo perfettamente il dolore che ho provato tutte le volte che sono venuto al mondo. Questa, però, è un’altra storia.
Vidi il ragazzo crescere robusto e sereno, circondato dall'affetto dei genitori e protetto dalla cattiveria umana dalla solidarietà degli abitanti del suo villaggio. Provai la sua stessa gioia quando, a sei anni, nacque il fratellino, che lui vedeva come un esserino grinzoso e niente affatto attraente. La sua famiglia si dedicava alla coltivazione di un piccolo pezzo di terra insieme a tutti gli abitanti del villaggio e lui, quando non doveva badare al fratellino, aiutava volentieri nella semina o nel raccolto, contribuendo, nel suo piccolo, al benessere della comunità. Fin quando un giorno il Re non aveva deciso di occupare l'intero villaggio per farne una sua residenza, confiscando la terra e rendendo schiavi gli abitanti. Per questo motivo la sua famiglia, nel marasma che si era creato, era fuggita; ma l'esercito del Re, che era lì proprio per loro, li aveva raggiunti ed aveva ucciso i genitori senza pietà e ferito a morte il ragazzo, credendolo morto, e portandosi via il piccolo.
La storia, ora, era al presente ma, ciò nonostante, continuai a vedere il ragazzo crescere con un vecchio che gli faceva da maestro per renderlo perfetto. Il suo futuro non fu più un segreto per me e quello che vidi mi fece soffrire oltremodo.
Riaprii gli occhi e seppi che il ragazzo era di nuovo vivo: la sua anima era tornata, rimandata indietro dai disegni di Kamido.
Allora mi alzai dalla sedia, presi una ciotola piena d'acqua e con una salvietta gli inumidii il volto pallido e gelido.