martedì 30 giugno 2009

Cristalli - 5° puntata

2



Hilda uscì dall'edificio ed osservò il sole alto nel cielo estivo. In lontananza, sotto un albero, LA l'attendeva parlando con alcune amiche ed appena la vide le corse incontro sorridendo fiduciosa. Tutta eccitata le prese le mani e chiese a bruciapelo:
-Allora? Com'è andata? Su, forza: quanto? Non farmi penare così! Allora?-
Hilda la guardò tristemente, quindi chinò la testa in segno di sconfitta ed LA impallidì, perdendo tutta l'euforia. La fissò incredula e mormorò:
-Non è possibile... Sapevi tutto...-
Hilda alzò le spalle, come se si fosse rassegnata per quell'esame andato a male, ma LA non si diede per vinta.
-Non è possibile!- ripeté con stizza. -Il professore che ti ha esaminato è solo uno stronzo! Santo cielo! Dimmi chi è e ci andrò io a parlare! Voglio proprio sapere con quale assurdo criterio ti ha valutato! Deve essere proprio un pez...-
Si bloccò quando vide l'amica scuotere la testa e scoppiare a ridere, trattenendosi lo stomaco.
-Sei decisamente matta!- esclamò senza riuscire a trattenere le risate. -Mi ha concesso pure la lode!-
LA la scrutò attentamente, quindi le diede una spinta e scoppiò a ridere.
-Mi hai fatto prendere un bello spavento! Che scema a cascarci! Dovevo immaginarlo!-
Ridendo e scherzando si avviarono verso casa, noncuranti della gente che si girava a guardarle con curiosità. Il sole risplendeva sui loro capelli, dando vita ad uno spensierato gioco di colori iridescenti, dove il rosso si fondeva a striature bionde ed il nero a striature azzurre, provocando un contrasto di mirabile bellezza.
Da quando era arrivato Hols, Hilda aveva ritrovato il sorriso e la voglia di vivere di un tempo e lo spettro scuro del passato aveva iniziato a dissolversi lentamente, lasciandola libera di godere la tanto agognata serenità. Ma non era stato facile far capitolare Alan. Era stato irremovibile fin dall'inizio: non voleva il lupo in casa. Era stata LA a fargli cambiare idea, trattandolo ora con dolcezza ora con rabbia, cantandogliene quattro ed alzando la voce quando lui alzava la sua, ma alla fine Hilda aveva ottenuto l'autorizzazione a tenere Hols.
Da due mesi LA stentava a riconoscere la sua amica. Era serena e felice come mai l'aveva vista e ciò le procurava grande gioia. A stento riusciva a paragonarla alla ragazzina che aveva conosciuto cinque anni prima: della vecchia Hilda era rimasto poco o niente.
All’epoca aveva solo quindici anni e frequentava ancora il liceo, quando aveva pregato Alan di portarla con sé agli alloggi universitari. LA vi si era trasferita una settimana prima e, come Alan, era iscritta al primo anno di corso. Spinta dalla curiosità di sapere che tra gli studenti c'era una quindicenne, era scesa per dar loro il benvenuto ed era rimasta incantata a fissare Alan. Non aveva mai visto un ragazzo così bello in tutta la sua vita: perfetto, fu il suo unico pensiero.
-Io... Io sono LA Fawkes e... Be', volevo dare a te ed a tua sorella il benvenuto...-
Si era ritrovata a balbettare come una scolaretta alla prima cotta, senza riuscire a staccare gli occhi da lui ed il suo viso era diventato purpureo.
-Salve. Io sono Alan Wild.- si era presentato, osservandola con palese ammirazione.
Erano rimasti a guardarsi sulla soglia della porta, senza parlare e sorridendosi un po' imbarazzati, Poi, come se si fosse ricordato solo in quel momento, Alan aveva chiamato la sorella e lei aveva allungato il collo per sbirciare oltre la spalla del ragazzo. Aveva scrutato quella figura sottile, emaciata e tremendamente pallida avanzare come un fantasma ed appena se l'era ritrovata di fronte l'unica cosa che era riuscita a percepire era stata l'invidia. Ma come quegli occhi grigi, trasparenti, si erano posati su di lei, il cuore le si era stretto in una morsa dolorosa. In quei due cristalli aveva letto solitudine e paura con un'intensità tale da lasciarla interdetta. Hilda aveva teso la mano, senza che un'ombra di sorriso le increspasse le labbra, totalmente abulica. Era rimasta impassibile, con lo sguardo spento fisso nel vuoto e quando LA si era decisa a stringerle la mano, aveva sentito quella di Hilda gelida ed aveva notato il nastrino di raso intorno al polso. Si era chiesta cosa potesse significare ed i suoi occhi si erano repentinamente posati sull'altro braccio, dove stava, seminascosto dal maglione, il secondo nastrino.
Nei giorni successivi era rimasta a lungo con il pensiero fisso su di lei, sentendo di dover fare qualcosa per aiutarla ed ogni volta che le si era presentata l'occasione, era andata a trovarla. All'inizio era stata accolta con freddezza, poi, lentamente, era riuscita e far breccia nel cuore di quella quindicenne diffidente.
Col tempo la sua tenacia si era rivelata l'arma migliore: lei ed Hilda erano diventate amiche e si vedevano tutti i giorni, ora per studiare, ora per fare la spesa. Non aveva mai fatto domande sul suo passato e sapeva che di questo Hilda le era riconoscente.
Una massa pelosa ed argentata le saltò addosso e tornò bruscamente al presente.
-Gesù!- esclamò ridendo. -Buono, buono, Hols. Fa' la cuccia, da bravo.-
-E' meglio che ti lasci fare le feste o non ti darà pace. Sei l'unica alla quale si sia affezionato.- disse Hilda andando a prendere il guinzaglio.
LA l'accarezzò e si lasciò leccare, pensando vagamente che stava prendendo la forma del lupo adulto.
Cresceva sano, robusto, con il pelo argentato sempre lucido e spazzolato ed ogni mese Hilda lo infilava in vasca per fargli il bagno. Era stata dura abituarlo all'acqua, ma infine ci aveva preso confidenza e si divertiva a sguazzare in mezzo alle bolle di sapone. Adorava la sua padrona e le trottava sempre al fianco, ringhiando contro chiunque le si avvicinasse. La sola persona che gli riusciva difficile da sopportare era Alan, che si comportava come se lui neppure esistesse.
-Ecco qui il tuo guinzaglio, Hols.- annunciò Hilda sorridendo. -Ora andiamo a fare una bella camminata.-
Mentre si chinava per legarglielo al collo, LA le si avvicinò e con titubanza chiese:
-Come... Come va la questione finanziaria?-
Per una frazione di secondo le mani di Hilda si bloccarono e si domandò cosa ne potesse sapere dei loro problemi. Si voltò a guardarla e con noncuranza chiese:
-Perché questa domanda?-
-Così... Circa una settimana fa è venuto un ragazzo che cercava te e tuo fratello, ma Alan era fuori e tu stavi in facoltà e lui si è rivolto a me, dicendo...-
Con uno scatto felino Hilda balzò in piedi e l'afferrò per le spalle, pallida come un cadavere e domandò:
-Ti ha detto chi era?-
LA la fissò ad occhi sgranati, non riuscendo a comprendere la sua foga e balbettò:
-Ma... Veramente no...-
-Ti ricordi com'era? Potresti descriverlo?-
Era evidente che attendesse la visita di qualcuno che le stava particolarmente a cuore e l'amica si chiese chi fosse il fortunato. Comunque sia, si concentrò sul ragazzo ed iniziò a dire:
-Dunque... Era abbastanza alto, magro...-
-I suoi occhi?- l'interruppe con ansia.
-I suoi occhi?-
Hilda sospirò e spiegò:
-I suoi occhi erano grigi come i miei?-
-Mi pare... No, no. Non erano grigi.-
-Sei sicura?-
-Certo. Erano scuri, me lo ricordo bene.-
La mente di Hilda si rifiutò di crederci: doveva essere lui! Doveva! Ma dovette registrare la delusione amara della realtà e lentamente chinò la testa, abbozzando un pallido sorriso e tornò ad occuparsi di Hols, lasciando l'altra confusa ed attonita.
-Allora? Mi stavi parlando di un ragazzo: cosa voleva?- chiese all'improvviso, come se niente fosse accaduto.
-Io... Ecco, mi ha detto... Non ricordo molto bene, ma ha accennato alle vostre finanze. Comunque, sarebbe tornato uno di questi giorni.-
Hilda sorrise con indifferenza, aggiustandosi una ciocca di capelli: non era la persona che lei avrebbe desiderato fosse, quindi non le premeva sapere chi era.
-Bene. Se tornerà vedremo di chi si tratta.- rispose con sufficienza. -Che ne diresti di pranzare insieme?-
LA la studiò a lungo, cercando di leggere qualcosa su quel volto, ma Hilda era tornata ad essere quella di sempre ed accettò l'invito sorridendo, dimenticando volutamente quanto era accaduto.

venerdì 19 giugno 2009

Cristalli 4° puntata

-Cristo, Hilda! Siamo quasi ridotti alla fame e tu mi porti un animale in casa! Perdio! Non abbiamo soldi e tu mi sobbarchi della responsabilità di sfamare un'altra bocca! Che cazzo ti dice la testa? Eh? Cristo! Cristo!-
Con stizza Alan si passò una mano tra i capelli e continuò ad imprecare ed a bestemmiare con veemenza.
Da più di un'ora non faceva che urlare e camminare avanti e indietro, agitando le mani e strabuzzando gli occhi per l'ira. Era bastato che lei accennasse ad Hols che subito l'aveva guardata da prima allibito, poi con maggior furore fin quando non era esploso. Lei l'aveva lasciato sfogare, niente affatto intimorita dalla sua ira, seduta al tavolo della cucina con la testa reclinata in avanti, lasciando credere al fratello di avere timore di lui. Sì, aveva imparato che era meglio non dar prova che la sua violenza la lasciava del tutto indifferente.
Alan la costrinse a guardarlo, afferrandole rudemente il volto e lei assunse un'espressione prostrata ed intimorita.
-Non abbiamo soldi, Cristo! Mi spieghi come cazzo intendi nutrirlo?-
Lei non rispose, ma continuò a guardarlo attentamente. Ormai doveva arrendersi all'evidenza: Alan aveva problemi, seri problemi. Da troppo tempo perdeva la calma facilmente e giorno dopo giorno peggiorava, proprio come le aveva fatto notare LA.
-Alan sta male. Non credo sia solo esaurimento nervoso. Non lo vedi anche tu? Sembra quasi che stia impazzendo. A volte mette paura...- le aveva detto un giorno.
-Sei tu la pazza!- aveva risposto con veemenza. -Alan sta benissimo; è solo stressato perché ha dovuto studiare molto, bisogna capirlo. Vedrai che si rimetterà presto.-
LA l'aveva guardata con compassione, quindi aveva scosso la testa mormorando:
-Lo difendi solo perché è tuo fratello. Ma te ne accorgerai presto.-
Oh, come avevi ragione! Ed io che non avevo voluto crederti!
-Non guardarmi con quell'aria da scema! Rispondi quando ti parlo, perdio!-
La scosse con violenza, facendola tornare bruscamente al presente.
-Alan... Ti prego...- gemette per il dolore.
Lui la lasciò andare e rimase a fissarla con gli occhi iniettati di sangue ed il fiato corto. Lentamente, a testa bassa, Hilda si ricompose e passò una mano sulla fronte. Alzò il volto e studiò il fratello: il suo viso era sconvolto e tirato dall'ira ed era palese lo sforzo che faceva per dominarsi.
Per un lungo momento tutto tacque ed all'improvviso, così come era esploso, Alan si calmò. Inspirò profondamente e bofonchiò qualcosa di inintelligibile, fissando cupo la sorella. Per una frazione di secondo parve che volesse scusarsi, ma altro non fece che sedersi, continuando un sommesso ed incomprensibile monologo.
Hilda continuò a sbirciarlo con circospezione, cercando di intuire cosa gli stesse passando per la testa. Per un attimo rivide il piccolo Alan che le faceva le carezze ed i complimenti; rivide un bambino dolce e premuroso... Ma tornò subito con i piedi per terra, pensando con amarezza che quell'Alan era morto. Per sempre.
-Allora? Potresti anche farmelo vedere, ti pare?-
Quel tono di voce dolce l'impensierì. Solo un minuto prima stava urlando e bestemmiando come un forsennato ed ora...
Sforzandosi di sorridere, corse in camera ed appena Hols la sentì entrare balzò dal letto e le andò vicino scodinzolando felice. Lei lo prese in braccio, ripromettendosi di non lasciarlo toccare da Alan: sarebbe stato capace di spezzargli il collo.
Sospirando tornò in cucina, tenendo Hols stretto al seno. Si fece forza e sorridendo disse:
-Eccolo qui. Ti piace?-
Alan fissò il cucciolo, alzandosi in piedi lentamente. Hols, a sua volta, puntò i propri occhi gialli in quelli neri del ragazzo e questi sussultò.
-Sei forse impazzita sul serio, perdio?- urlò all'improvviso.
Additò il cucciolo e guardando con un barlume di follia la sorella sibilò minaccioso:
-Io me ne vado, ma tra un'ora, quando ritornerò, non voglio più trovare questo lupo in casa! Guai a te se lo vedrò ancora: butterò fuori a calci in culo te e lui! Sono stato chiaro?-
Fece una smorfia al genuino stupore di Hilda e si avviò verso la porta, ruggendo con rabbia:
-Sbarazzatene!-
Hilda rimase sbigottita ed interdetta ad osservare Hols tra le sue braccia, riuscendo solo a ripetersi: oddio, un lupo... un lupo...

lunedì 8 giugno 2009

Cristalli - 3° puntata

-Hilda, io vado da Sandy. Devi uscire?-
Dalla propria camera, alzando la voce per farsi udire, lei rispose:
-Ho un appuntamento con LA per studiare.-
Alan fece una smorfia di disprezzo e bofonchiò:
-Tornerò per cena. Vedi di farti trovare a casa per quell'ora.-
Appena sentì chiudere la porta, Hilda si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo ed aggiustò una piega invisibile sulla gonna. Quindi si diresse in bagno per prepararsi ed iniziò a spazzolare i lunghi capelli corvini.
Sorrise pensando alla sua amica. Alan la disprezzava e questo LA lo sapeva, nonostante per un certo periodo di tempo fossero stati insieme. Ma non se ne curava affatto. Hilda la conosceva già da cinque anni, praticamente da quando si era trasferita lì con Alan e poteva giurare tranquillamente di non averla mai vista pensierosa o con un problema da risolvere: era sempre allegra e spensierata; niente riusciva a sminuire la voglia di vivere che l'alimentava.
Una puttana dal viso d'angelo, dicevano di lei. Poteva avere tutte le virtù di questo mondo ma le piaceva troppo divertirsi e per questo era stata marchiata.
Già, pensò tristemente, fa presto la gente a giudicare... Possono dire tutto il male che vogliono su di te, ma per me sei semplicemente magnifica. Sei la mia unica vera amica e non ti cambierei con una santa. Solo tu hai saputo aiutarmi e comprendermi senza che io ti chiedessi o dicessi niente.
Si voltò verso la finestra con un'espressione intensa sul volto pallido, le sopracciglia aggrottate ed i capelli che le ricadevano voluminosi ed ondulati sulle spalle. LA, pensò, non è minore la bellezza anche se cade ad un soffio di vento...
All'improvviso il ricordo di quella domenica mattina le fece venire le lacrime agli occhi e si morse le labbra per non cedere alla debolezza. Il passato le tornava troppo spesso in mente, crudele ed ossessionante, malgrado facesse sforzi enormi per dimenticare.
Scosse violentemente la testa e decise di fare due passi prima di andare da LA e, afferrato l'impermeabile, uscì senza pensarci oltre.
Da poco aveva smesso di piovere, anche se la città era ancora avvolta da un cupo grigiore ed un leggero vento la fece rabbrividire all'improvviso. La sua mente era un continuo via vai di ricordi che si susseguivano con velocità dirompente e che la perseguitavano ormai da cinque anni, tenendola segregata nella prigione di se stessa.
L'uomo è come un fiore portato dal vento, si ripeté per la centesima volta. E' il Karma.
Lasciò spaziare la mente in un luogo da fiaba, dove si rintanava quando voleva fuggire alla realtà, e quel luogo così cristallino, incontaminato, dove solo a lei era consentito l'accesso, rifletteva una luce abbagliante, fatta di miriadi di cristalli iridescenti. Cristalli che rilucevano sopra una cascata di capelli biondi che svolazzavano liberi e che sembravano trasparenti, tanto erano chiari... I capelli di Siegfried, così biondi da meritarsi il soprannome di Dagr, il mitico dio del giorno. E lui le sorrideva, col suo volto da bambino, circondato da un velo di nebbia. Otto anni...
Involontariamente rabbrividì, mentre alcune gocce di pioggia ricominciavano a cadere. Scrutò il cielo plumbeo e decise di rientrare. Era anche ora di andare da LA.
Ritornò sui propri passi e mise il cappuccio dell'impermeabile in testa. Tra meno di un mese doveva dare un esame ed era meglio non pensare ad altro. Se si fosse dedicata allo studio, sarebbe riuscita e superare la prova eccellentemente; la media dei suoi voti era buona e non avrebbe permesso ai ricordi di rovinargliela. Ed anche volendo, non si sarebbe potuta permettere il lusso di prendersela comoda.
Quando sua zia aveva telefonato, li aveva avvertiti che quello che i loro genitori avevano lasciato in banca si stava consumando e se Alan non si fosse sbrigato a laurearsi ed a trovare lavoro, si sarebbero ritrovati senza fondi e lei avrebbe dovuto abbandonare gli studi. In parole povere, si sarebbero ritrovati sul lastrico e sua zia aveva lasciato chiaramente intendere che lei non avrebbe potuto far niente. Meglio ancora: nei tre anni che li aveva mantenuti aveva fatto anche troppo.
Ma che bella prospettiva! pensò con sarcasmo.
Con stizza accelerò il passo, mentre la pioggia cadeva con maggior insistenza. Fu in quel momento che qualcosa attrasse la sua attenzione. A prima vista sembrava un fagottino grigio e peloso, abbandonato per la strada e se non fosse stato perché tremava convulsamente, non l'avrebbe neppure notato. Incuriosita si avvicinò accucciandosi ed allungò una mano, quando un guaito la fece sobbalzare. Fissò il fagotto e subito dopo sorrise, prendendolo in braccio: era solo un cucciolo di cane inzuppato come un pulcino che tremava per il freddo. Lo strinse a sé cercando di trasmettergli un po' del suo calore ed il cucciolo la guardò drizzando le orecchie.
-Ma chi ha avuto il coraggio di abbandonarti sotto questa pioggia?- mormorò accarezzandolo dolcemente.
Mossa da compassione, decise di portarlo a casa e si mise a correre, arrivando a destinazione con un violento batticuore. Senza curarsi di togliere l'impermeabile che gocciolava, si diresse in bagno, posò il cucciolo a terra ed aprì l'acqua per riempire la vasca.
-Mi auguro che tu non abbia paura di un bel bagnetto caldo.- disse osservando il batuffolo bianco che a mala pena si teneva sulle zampe.
Ridendo si sbarazzò dell'impermeabile, cercando un nome da dargli e quando l'acqua giunse al livello desiderato, prese il suo nuovo amico e gli fece un bel bagno caldo, insaponandolo e frizionandolo a dovere. Ci impiegò quasi un'ora a lavarlo ed asciugarlo, lottando per tenerlo fermo ma, alla fine, il risultato superò ogni aspettativa: del cucciolo inzuppato, infreddolito e maleodorante non c'era più traccia; al suo posto c'era una massa gonfia di peli lunghi e brillanti, che risplendeva sotto la luce del neon.
Hilda lo sollevò per osservarlo e, contenta, esclamò:
-Sei perfetto! Non immaginavo che una volta rimesso a nuovo saresti stato così carino. Vediamo... Ti chiamerò Hols. Sì, suona bene. Hols...-
Un lampo saettò negli occhi gialli del cucciolo, occhi obliqui e sottili, così diversi da quelli di ogni cane. Il suo pelo era folto, la coda grossa e voluminosa, il muso più allungato del normale e le orecchie dritte ed aguzze.
-Devo riconoscere che come cane sei abbastanza strano.- commentò rigirandolo da tutte le parti. -Ma mi piaci così come sei.-
Sorrise felice e l'abbracciò, stampandogli un bacio in mezzo al muso. Siamo entrambi soli, amico mio; ci faremo compagnia.
Lo lasciò libero di girare per casa, mentre si dirigeva in cucina per preparargli una ciotola con l'acqua ed un piatto con alcuni pezzi di carne avanzati a pranzo. Hols mangiò con avidità e lei lo guardò con affetto, ripromettendosi di comprargli un guinzaglio ed un collare.
Per la prima volta dopo tanti anni, Hilda riuscì a dimenticare il passato che l'ossessionava e fu contenta di essere ancora viva.
Ancora viva...
Erano trascorsi ben cinque anni, eppure, all'improvviso, le parve solo un sogno, una cosa irreale e si ritrovò a chiedersi se veramente fosse stata lei a compiere quel gesto.
Il suo sguardo si posò sui polsi: benché sottili, le due cicatrici c'erano e ci sarebbero rimaste per sempre.
Chiuse gli occhi rabbrividendo ed in quell'istante suonarono alla porta. Si riscosse dal passato ed andò ad aprire, con Hols che le scodinzolava attorno felice e con la pancia piena.
La sorridente faccia di LA fece capolino ed Hilda non ebbe la possibilità di aprir bocca ché subito la ragazza esclamò ridendo:
-Ehi! Lo sai che ti sto aspettando già da un'ora? Ti eri dimenticata che dovevi salire da me? Allora? Ehi! Non dirmi... Non dirmi che c'è un uomo in casa! Ho interrotto qualcosa?- domandò insinuante, squadrandola da capo a piedi. -Ma no, sei ancora vestita... Allora? Mi fai entrare?-
Quell'inatteso fiume di domande e constatazioni la lasciò un attimo interdetta, mentre la faceva entrare e richiudeva la porta alle proprie spalle. Quindi scoppiò a ridere e mormorò:
-Oh, no! Niente uomini. Ero uscita per fare due passi.-
-Oh, santo cielo!- sospirò LA. -Ed io che speravo di trovarti in dolce compagnia... Ho la vaga impressione che tu sia affetta da una grave, addirittura cronica fobia... Allora?-
Hilda sorrise, intuendo la muta domanda dell'altra e lasciò scivolare lo sguardo ai propri piedi. LA chinò la testa e vide Hols rannicchiato dietro le gambe dell'amica.
-Oh, cielo! Che amore!- esclamò chinandosi e prendendolo in braccio. -Dio, è dolcissimo! Dove diamine l'hai trovato?-
-A dir la verità l'ho trovato ora che sono uscita. Qualcuno deve averlo abbandonato e così ho deciso di portarlo a casa. Mi faceva tenerezza.-
-Pensi di tenerlo?-
-Sì. Gli ho già trovato un nome: Hols. Ti piace?-
Si diressero in cucina ed Hilda si diede da fare per preparare il caffè, mentre LA giocherellava con il cucciolo.
-Sì, mi piace. Direi che è perfetto.- rispose. -Alan l'ha visto?-
-Veramente no.- ammise Hilda in un sussurro, posando la caffettiera sul fuoco.
I grandi occhi nocciola di LA puntarono sull'amica, ma non disse niente: il silenzio parlò per lei. In quegli anni aveva imparato a conoscere i due fratelli e già immaginava la reazione che avrebbe avuto Alan. Brutta faccenda, pensò tristemente.
Sentì Hilda sospirare ed il suo sguardo si fece compassionevole.
-Bene!- esclamò con allegria, posando Hols a terra. -Dall'odore si direbbe che il caffè stia venendo buono. Penso io alle tazzine, tu prendi lo zucchero.-
Hilda la sbirciò mentre si muoveva per la cucina e sorrise. Sei una cara amica, pensò.
-Perfetto.- commentò LA sedendosi. -Ora ci gustiamo il caffè, quindi ci buttiamo nel ripasso, ok?-
-Ok.-
Per tutto il pomeriggio LA ascoltò le risposte che Hilda dava alle sue domande, fornendole maggiori spiegazioni, facendole ampliare o restringere vari concetti, dandole consigli ed assicurandola che avrebbe superato l'esame con il massimo dei voti.
Una volta sola, Hilda fece mangiare Hols e si preparò all'arrivo di Alan.

venerdì 5 giugno 2009

Cristalli - 2° puntata

LIBRO PRIMO



1



Iniziò a piovere pochi minuti prima che terminasse la lezione e gli studenti si voltarono verso le grandi finestre, distraendosi per un attimo dal discorso del docente. Il pezzo di cielo che si intravedeva attraverso i vetri sporchi ed ombrati dal fumo delle sigarette non lasciava presagire niente di buono per il resto della giornata: pesanti nuvoloni neri tuonavano minacciosi, mentre lampi e fulmini si rincorrevano squarciando per pochi secondi il plumbeo colore del cielo.
Il professore si rese conto della mancanza improvvisa di concentrazione da parte degli studenti e decise di porre fine alla lezione, concludendo:
-Bene, ragazzi. Per oggi è tutto. Durante il week end rivedete sul libro quello che vi ho spiegato e se trovate qualcosa di poco chiaro ne riparleremo la prossima volta. Buon divertimento.-
Pioveva sempre più violentemente e sui marciapiedi e sulle strade si formarono veri e propri laghi, una recrudescenza del rigido inverno appena trascorso. Ormai l'estate era alle porte e le giornate si susseguivano calde e soleggiate, infondendo calore ed allegria sui volti della gente. Quell'improvviso temporale primaverile colse tutti di sorpresa e pungenti commenti s'innalzarono per l'aria, mentre ognuno correva in cerca di un provvisorio riparo.
Sbuffando, Alan Wild si assicurò i libri sotto il braccio e si mise a correre in direzione degli alloggi universitari. Scivolò sull'asfalto bagnato e riuscì a tenersi in equilibrio per puro miracolo, schivando all'ultimo istante una macchina che sfrecciava veloce e che provvide a schizzarlo fino al collo. Imprecò con stizza ed entrò nel portone dell'edificio, facendosi poi i due piani a piedi per arrivare al suo appartamento.
Con gesto stanco posò i libri sul tavolo della cucina e si diresse verso il bagno per farsi la doccia, fischiettando il motivo di una canzone. Si fermò davanti allo specchio e si mirò a lungo, voltando leggermente la testa ora da un lato ora dall'altro, finendo col fare l'occhiolino alla propria immagine. Mio caro Alan, si disse con orgoglio, ancora tre esami e la tesi ed è fatta: poi potrai goderti tutti i fine settimana che vorrai, alla faccia della pioggia.
Sorrise soddisfatto e studiò la sua figura. Anche così, con i folti ricci castani che gocciolavano, il maglione ed i jeans infangati e bagnati, rimaneva un ragazzo attraente che, con una sola occhiata, riusciva a rapire i cuori femminili, facendo cadere tutte le donne ai suoi piedi.
Era sempre stato narcisista fino all'esasperazione. Con i coetanei non perdeva mai occasione per esercitare il suo egocentrismo, esacerbandoli oltremodo, col solo risultato di rimanere con pochi amici; mentre con le ragazze sfoggiava tutto il fascino che possedeva, pavoneggiandosi con albagia, scrutandole dall'alto in basso, come se fosse stato un dio, un Apollo redivivo. E tutte lo adoravano, facevano cerchio intorno a lui, sommergendolo di complimenti ed effusioni.
Scosse la testa, come per accantonare i ricordi e s'infilò sotto la doccia, crogiolandosi a lungo al tepore dell'acqua. Quindi indossò l'accappatoio e prese l'asciugamano per frizionare i capelli.
Il solo tornare indietro nel tempo, a quando era piccolo, lo fece ridere. Anche allora si poneva davanti allo specchio e si mirava a lungo, alzando la testa con orgoglio, aggiustandosi un ricciolo ribelle e facendo finta di essere un cow boy, un guerriero, un paladino del bene... E ad osservarlo in tutte le sue pose narcisiste c'era sempre stata sua sorella, la dolce e piccola sorellina che batteva le manine, rideva e lo incitava a continuare, senza mai stancarsi di lodarlo e di fargli complimenti. Ed accanto a lei c'era sempre...
Si rabbuiò all'improvviso, disgustato. Con stizza buttò via l'asciugamano e si pettinò i ricci arruffati. Ecco: si era rovinato la giornata andando a rimuginare nei ricordi. Non doveva pensarci: lui non esisteva. Maledizione! imprecò con rabbia. Accidenti a te! Hai il potere di rovinare l'esistenza altrui anche quando non ci sei più!
A passi lunghi e risoluti raggiunse la propria camera e dall'armadio prese un paio di jeans ed una camicia, mentre dall'ingresso qualcuno chiamava:
-Alan? Sei già arrivato?-
Con un profondo sospiro cercò di assumere un tono di voce tranquillo e rispose:
-Sì. Ti sei bagnata?-
Sentì chiudere la porta ed i passi di sua sorella che si dirigevano verso la cucina.
-Non molto. Ho atteso che diminuisse di piovere prima di muovermi. Che tempo matto!- commentò la ragazza con vivacità.
Alan abbozzò un sorriso mentre raccoglieva gli abiti bagnati e li posava nel cestino dei panni sporchi. Raggiunse la sorella in cucina e rimase sulla soglia della porta ad osservarla mentre lei metteva l'acqua nella pentola e controllava l'arrosto nel forno.
-Ehi, dico! Hai finito di startene lì impalato a fissarmi?-
Alan si scosse dalle proprie riflessioni e rispose al sorriso che gli era rivolto. Prese la tovaglia e si mise ad apparecchiare, mentre una gradevole fragranza di arrosto si diffondeva per l'appartamento.
Fuori continuava a piovere incessantemente ed il vento si faceva più impetuoso e freddo, trascinandosi dietro grosse nubi nere cariche di pioggia, che parevano rincorrersi tra loro come protagoniste di una gara perenne, mentre gli alberi si inchinavano al loro passaggio facendo cantare le foglie come un lungo battito di mani. Per le strade non si scorgeva più nessuno; solo un cane guaiva in lontananza, un lamento triste e pieno di solitudine.
Hilda sbirciò dietro le tendine della finestra e quel grigio paesaggio le mise addosso una grande malinconia. Appena aveva iniziato a piovere si era sentita pervadere dall'angoscia, accompagnata da un vago senso di impotenza. E lei era impotente davanti al corso della vita, della sua vita.
Con un sospiro tornò ai fornelli e si concentrò sul pranzo per non ricadere nel vortice di ricordi dolorosi.
-Ehi!- esclamò Alan studiandola attentamente. -Non dirmi che ci pensi ancora!-
Lei sussultò appena e si voltò verso il fratello, replicando risentita:
-Sei veramente così sicuro di te?-
-Non è così? Riconoscerei quell'espressione anche se ti vedessi lontana mille miglia!- insistette irritato.
Hilda gli lanciò un'occhiata fulminante, pronta per la guerra verbale che sarebbe scoppiata di lì a pochi secondi, ma prima che avesse la possibilità di rispondergli, qualcuno suonò alla porta, spezzando tempestivamente la tensione che si stava creando.
-Vado io, non ti scomodare.- borbottò Alan.
Mentre andava ad aprire, lei fece una smorfia e lo scimmiottò sommessamente:
-Vado io, non ti scomodare!-
Incuriosita avanzò verso l'ingresso e vide Sandy sulla porta, il ragazzo dell'ultimo piano. Era l'unico, in tutta la palazzina, ad avere il telefono e, di conseguenza, ogni volta che qualche parente od amico chiamava, era costretto ad avvisare l'interessato giungendo nelle ore più disparate della giornata.
Hilda lo salutò con un sorriso ed Alan si voltò verso di lei, spiegando:
-E' una chiamata per noi. Pare sia la zia. Vado a sentire cos'è successo e torno subito.-
-Ok. La pasta è pronta.- l'informò con indifferenza.
Sandy la salutò e se ne andò insieme ad Alan, mentre lei rimaneva a fissare la porta che si chiudeva alle loro spalle.
E rimase immobile a lungo, al centro dell'ingresso, nel più totale silenzio, senza pensare a niente. Poi, lentamente, chinò la testa ed incurvò le spalle, mentre una lacrima scendeva a rigarle la guancia pallida. Pianse in silenzio, consapevole di avere solo quel breve lasso di tempo per lasciarsi andare, prima che Alan tornasse.
Si maledisse per essersi tradita, risvegliando i sospetti del fratello che lei, con enorme sforzo, era riuscita a sopire già da alcuni anni. Alan le aveva ripetuto infinite volte di dimenticarlo, di non considerarlo più un fratello e lei, per evitare le sue continue scenate, gli aveva fatto credere di essersi rassegnata, evitando accuratamente di pensare a Siegfried in sua presenza. Ma come posso dimenticare di avere un altro fratello? Un fratello che continuo ad amare anche se sono trascorsi otto anni dall'ultima volta che l'ho visto?
Si asciugò le lacrime e tornò in cucina, dirigendosi verso la finestra e scostò le tendine per osservare il paesaggio grigio che le si presentava davanti, senza, però, vederlo realmente, trascinata ormai nel vortice di ricordi tristi e crudeli che avevano segnato la sua infanzia.
La sua mente rievocava immagini lontane e dolci, quando lei, Alan e Siegfried giocavano insieme, ridevano, scherzavano e si volevano bene. I suoi due fratelli facevano a gara nel ricoprirla di attenzioni, effusioni, baci e carezze perché, dicevano, era la piccolina ed aveva quindi bisogno di tanto affetto. E lei, a sua volta, considerava i suoi fratelli come due cavalieri che l'amavano e la proteggevano.
Quel gioco era durato fino a quando Alan, a quindici anni, aveva deciso che era meglio far sfoggio del suo fascino con altre ragazze anziché con lei, lasciando campo libero al suo più diretto ed acerrimo rivale. E lei, abituata per undici anni ad essere il centro di tutte le attenzioni dei fratelli, avvertendo quel vuoto improvviso attorno a sé aveva riversato tutto il suo amore su Siegfried. Quella sorta di abbandono da parte del fratello maggiore aveva avuto il potere di farla star male e, come era naturale in una bambina, pensò che un dolore così grande non l'avrebbe mai più provato. Viziata e coccolata fin da quando era venuta alla luce, amata e sommersa di complimenti da parte di entrambi i fratelli, considerò il voltafaccia di Alan come una pugnalata data a tradimento e faticò molto a perdonarlo.
A tredici anni Siegfried era già conosciuto in tutti i peggiori ambienti della città. Con i suoi amici si divertiva a molestare la gente, a commettere furti, a fare a pugni con i coetanei, a perpetrare veri e propri atti di vandalismo e teppismo; fin da piccolo aveva mostrato una palese tendenza ad amare le armi ed ogni volta che gli si presentava l'occasione non si faceva scrupoli nell'usarle. In particolare aveva una certa debolezza per le armi bianche che, come avrebbe sempre sostenuto in seguito, avevano la facoltà di risvegliare la parte più aggressiva e più abile di chi se ne serviva.
Di tutto questo Hilda non aveva mai saputo niente. Con lei si era comportato sempre con premura e gentilezza, ricoprendola di maggior affetto dopo che Alan gli aveva lasciato il campo libero per correre dietro alle ragazze. E lei aveva continuato ad adorarlo, forse più di prima, concedendogli tutto l'amore che in precedenza aveva dovuto scindere in parti uguali tra lui ed Alan. Si era resa conto fin da piccola che non le era concesso amare più un fratello dell'altro; quella rivalità tra loro le faceva paura. Se, per distrazione, mostrava più attenzione ad uno dei due, l'altro subito scoccava un'occhiata micidiale in direzione del fratello ed immediatamente si mettevano a litigare. Per evitare che quella rivalità sfociasse nell'odio, aveva sempre bilanciato in maniera uguale il proprio affetto anche se, nel suo intimo, era più incline ad amare Siegfried. L'improvviso allontanamento di Alan l'aveva lasciata libera di dedicarsi totalmente al fratello preferito.
Ma anche la più totale abnegazione alla fine costringe ad aprire gli occhi ed Hilda aveva iniziato ad intuire che qualcosa non andava. Se con lei Siegfried era dolce ed affettuoso, con i suoi genitori, invece, non faceva altro che litigare violentemente. Anche se troppo tardi per poter rimediare, avevano scoperto che frequentava delinquenti in erba, sempre pronti a commettere malvagità di ogni genere ed a nulla erano valsi gli schiaffi paterni per ricondurlo sulla retta via.
I continui litigi le avevano fatto intuire la verità e quando aveva chiesto ad Alan di spiegarle cosa stava accadendo, il ragazzo le aveva sussurrato sconsolato:
-Siegfried è un delinquente.-
Rabbrividì al ricordo di quel particolare momento della propria infanzia e si appoggiò alla finestra.
Per una bambina di undici anni quella verità risultò difficile da accettare. Si sentì malissimo e per diverso tempo si rinchiuse in se stessa, piangendo e maledicendo Siegfried. Nel breve periodo di un mese era stata tradita prima da Alan e poi da colui nel quale aveva riposto tutta la sua fiducia. Reagì nell'unico modo che le era possibile, iniziando a diffidare dei suoi fratelli, ad ignorarli, sentendo crescere dentro di sé rabbia e solitudine.
Ma quello stato di cose durò poco: cinque mesi più tardi i loro genitori morirono in un incidente stradale ed i tre orfanelli furono accolti in casa della zia materna. Con loro, Alan ed Hilda rimasero fino a quando il ragazzo non si iscrisse all'università, mentre Siegfried pensò bene di sparire dopo poche settimane.
Otto anni... Da otto anni non ti sei più fatto vedere, pensò con tristezza, continuando a guardare la pioggia che cadeva incessantemente.
Con un enorme sforzo ricacciò indietro le lacrime e passò una mano sulla fronte, mordendosi le labbra. Come un automa si avvicinò ai fornelli e si accinse a togliere la pasta dal fuoco.
Alan, indubbiamente, aveva ragione quando le ripeteva di dimenticarlo ma, nonostante tutti gli sforzi che faceva, non ci riusciva. Il passato apparteneva al passato e così doveva essere, anche se continuava a ripensare ai momenti più tristi della sua vita come se avesse voluto cambiarli in un ultimo, disperato tentativo.
-Continuare a pensarci non risolverà niente.- le aveva detto Alan con rabbia, dopo che Siegfried se ne era andato per sempre. -Non è colpa di nessuno se ci è capitata la disgrazia di avere un fratello delinquente. Non vale la pena di pensare a lui: dimenticalo e poi ti sentirai meglio.-
L'aveva guardata a lungo, studiando quegli occhi tumefatti e rossi per le tante lacrime versate, quindi aveva continuato con più pacatezza:
-Non preoccuparti. In fin dei conti, alla tua età si dimentica facilmente.-
E lei aveva dodici anni quando Siegfried se ne era andato senza dire una parola.
Ma io non ho dimenticato. Non potrei mai. Lui è mio fratello e continuerò a sperare che un giorno ritorni. Sospirò tristemente, pensando che quell'attesa le era già costata molto.
Oddio, basta! Basta! Non posso continuare a torturarmi così in eterno! Siegfried ha scelto da solo la propria vita: a modo suo sarà felice...
-Hilda!-
La ragazza sobbalzò al tono imperioso ed improvviso: immersa nei ricordi non aveva udito Alan rientrare. Lo guardò timorosa e quello che vide non le piacque. Alan la fissava torvo, le mani nelle tasche dei jeans, a testimonianza che era da un po' lì a studiarla.
-Quante volte ti ho ripetuto e continuo a ripeterti che non devi pensarci?- urlò inviperito, dando sfogo alla collera feroce che il solo pensiero del fratello gli procurava.
-Scusami.- mormorò chinando mestamente la testa.
Il ragazzo inspirò a fondo, cercando di ritrovare il controllo delle proprie emozioni. Maledetto! imprecò con stizza. Possibile che debba sempre combattere contro il tuo fantasma? Con rabbia si sedette a tavola e ringhiò:
-Allora? Non avevi detto che la pasta era pronta?-
Hilda annuì e si precipitò a preparare i piatti col cuore che le batteva impazzito. Gli improvvisi e violenti scoppi d'ira del fratello iniziavano a preoccuparla ed ogni qualvolta lo vedeva pronto ad esplodere, evitava con ogni mezzo possibile di far precipitare le cose. Così se ne rimase in silenzio per l'intera durata del pranzo, ascoltando con malinconia la pioggia che batteva contro i vetri con un ritmo sempre uguale.
Con un pallido sorriso accettò l'aiuto che Alan le offrì al termine del pasto e quando si ritirò in camera sua sospirò di sollievo, chiudendo la mente a qualsiasi pensiero.

mercoledì 3 giugno 2009

Cristalli - 1° puntata

"Se penso e rifletto a lungo sugli eventi gioiosi, tristi ed a volte tragici che il destino riserva ad ognuno di noi durante l'arco della propria esistenza, mi sia consentito paragonare il cammino della vita a tanti piccoli cristalli iridescenti, uno concatenato all'altro che, a seconda degli imprevisti davanti ai quali il destino ci pone di volta in volta, vengono inesplicabilmente a sgretolarsi uno dietro l'altro, come una incessante reazione a catena che possa venire fermata solo dalla forza di volontà del singolo individuo.
Ma non sempre è il destino ad innescare tale reazione.
Una volontà più forte della nostra potrebbe avere facile ragione di noi, così da trascinarci in un vortice sempre più buio e profondo dal quale difficilmente potremmo venirne fuori se venissimo prontamente, o peggio premeditatamente, privati della nostra forza interiore. Spesso questa volontà così sottile ed ambigua si insinua dentro di noi con dolcezza e pazienza, tessendo, anno dopo anno, una ragnatela invisibile ai nostri occhi, con la quale ci tiene segretamente vincolati al suo volere. E solo quando è troppo tardi ci rendiamo conto di essere completamente succubi ed abulici. Ed è allora che riversiamo la colpa sul destino e, forti di questa convinzione, lasciamo che gli eventi proseguano indisturbati nel loro cammino.
Mi chiedo, alle volte, come ciò sia possibile e mi soffermo a pensare a quegli uomini indomiti che per tutta la vita si divertono a forzare la mano al destino, a sfidarlo continuamente per elevarsi a suo simile, per venire, in ultimo, sopraffatti da quella medesima misteriosa mano. Ma penso altresì che siamo esseri umani, con tutti i nostri difetti, i nostri pregi, i nostri vizi e con quella forte curiosità che ci spinge a voler sapere sempre di più per avere sempre di più, trascinandoci oltre i limiti imposti dalla natura.
E forse, tra destino e volere, esiste un solo insormontabile ostacolo: la perfezione...

L.A. Fawkes."

Romanzo a puntate

Da oggi inizierò a pubblicare uno dei miei romanzi a puntate, un po' come si faceva una volta quando si scriveva un libro. Spero che vogliate seguirmi in quest'opera enorme e che mi diciate se gradite o meno.
Buona lettura a tutti!