venerdì 5 giugno 2009

Cristalli - 2° puntata

LIBRO PRIMO



1



Iniziò a piovere pochi minuti prima che terminasse la lezione e gli studenti si voltarono verso le grandi finestre, distraendosi per un attimo dal discorso del docente. Il pezzo di cielo che si intravedeva attraverso i vetri sporchi ed ombrati dal fumo delle sigarette non lasciava presagire niente di buono per il resto della giornata: pesanti nuvoloni neri tuonavano minacciosi, mentre lampi e fulmini si rincorrevano squarciando per pochi secondi il plumbeo colore del cielo.
Il professore si rese conto della mancanza improvvisa di concentrazione da parte degli studenti e decise di porre fine alla lezione, concludendo:
-Bene, ragazzi. Per oggi è tutto. Durante il week end rivedete sul libro quello che vi ho spiegato e se trovate qualcosa di poco chiaro ne riparleremo la prossima volta. Buon divertimento.-
Pioveva sempre più violentemente e sui marciapiedi e sulle strade si formarono veri e propri laghi, una recrudescenza del rigido inverno appena trascorso. Ormai l'estate era alle porte e le giornate si susseguivano calde e soleggiate, infondendo calore ed allegria sui volti della gente. Quell'improvviso temporale primaverile colse tutti di sorpresa e pungenti commenti s'innalzarono per l'aria, mentre ognuno correva in cerca di un provvisorio riparo.
Sbuffando, Alan Wild si assicurò i libri sotto il braccio e si mise a correre in direzione degli alloggi universitari. Scivolò sull'asfalto bagnato e riuscì a tenersi in equilibrio per puro miracolo, schivando all'ultimo istante una macchina che sfrecciava veloce e che provvide a schizzarlo fino al collo. Imprecò con stizza ed entrò nel portone dell'edificio, facendosi poi i due piani a piedi per arrivare al suo appartamento.
Con gesto stanco posò i libri sul tavolo della cucina e si diresse verso il bagno per farsi la doccia, fischiettando il motivo di una canzone. Si fermò davanti allo specchio e si mirò a lungo, voltando leggermente la testa ora da un lato ora dall'altro, finendo col fare l'occhiolino alla propria immagine. Mio caro Alan, si disse con orgoglio, ancora tre esami e la tesi ed è fatta: poi potrai goderti tutti i fine settimana che vorrai, alla faccia della pioggia.
Sorrise soddisfatto e studiò la sua figura. Anche così, con i folti ricci castani che gocciolavano, il maglione ed i jeans infangati e bagnati, rimaneva un ragazzo attraente che, con una sola occhiata, riusciva a rapire i cuori femminili, facendo cadere tutte le donne ai suoi piedi.
Era sempre stato narcisista fino all'esasperazione. Con i coetanei non perdeva mai occasione per esercitare il suo egocentrismo, esacerbandoli oltremodo, col solo risultato di rimanere con pochi amici; mentre con le ragazze sfoggiava tutto il fascino che possedeva, pavoneggiandosi con albagia, scrutandole dall'alto in basso, come se fosse stato un dio, un Apollo redivivo. E tutte lo adoravano, facevano cerchio intorno a lui, sommergendolo di complimenti ed effusioni.
Scosse la testa, come per accantonare i ricordi e s'infilò sotto la doccia, crogiolandosi a lungo al tepore dell'acqua. Quindi indossò l'accappatoio e prese l'asciugamano per frizionare i capelli.
Il solo tornare indietro nel tempo, a quando era piccolo, lo fece ridere. Anche allora si poneva davanti allo specchio e si mirava a lungo, alzando la testa con orgoglio, aggiustandosi un ricciolo ribelle e facendo finta di essere un cow boy, un guerriero, un paladino del bene... E ad osservarlo in tutte le sue pose narcisiste c'era sempre stata sua sorella, la dolce e piccola sorellina che batteva le manine, rideva e lo incitava a continuare, senza mai stancarsi di lodarlo e di fargli complimenti. Ed accanto a lei c'era sempre...
Si rabbuiò all'improvviso, disgustato. Con stizza buttò via l'asciugamano e si pettinò i ricci arruffati. Ecco: si era rovinato la giornata andando a rimuginare nei ricordi. Non doveva pensarci: lui non esisteva. Maledizione! imprecò con rabbia. Accidenti a te! Hai il potere di rovinare l'esistenza altrui anche quando non ci sei più!
A passi lunghi e risoluti raggiunse la propria camera e dall'armadio prese un paio di jeans ed una camicia, mentre dall'ingresso qualcuno chiamava:
-Alan? Sei già arrivato?-
Con un profondo sospiro cercò di assumere un tono di voce tranquillo e rispose:
-Sì. Ti sei bagnata?-
Sentì chiudere la porta ed i passi di sua sorella che si dirigevano verso la cucina.
-Non molto. Ho atteso che diminuisse di piovere prima di muovermi. Che tempo matto!- commentò la ragazza con vivacità.
Alan abbozzò un sorriso mentre raccoglieva gli abiti bagnati e li posava nel cestino dei panni sporchi. Raggiunse la sorella in cucina e rimase sulla soglia della porta ad osservarla mentre lei metteva l'acqua nella pentola e controllava l'arrosto nel forno.
-Ehi, dico! Hai finito di startene lì impalato a fissarmi?-
Alan si scosse dalle proprie riflessioni e rispose al sorriso che gli era rivolto. Prese la tovaglia e si mise ad apparecchiare, mentre una gradevole fragranza di arrosto si diffondeva per l'appartamento.
Fuori continuava a piovere incessantemente ed il vento si faceva più impetuoso e freddo, trascinandosi dietro grosse nubi nere cariche di pioggia, che parevano rincorrersi tra loro come protagoniste di una gara perenne, mentre gli alberi si inchinavano al loro passaggio facendo cantare le foglie come un lungo battito di mani. Per le strade non si scorgeva più nessuno; solo un cane guaiva in lontananza, un lamento triste e pieno di solitudine.
Hilda sbirciò dietro le tendine della finestra e quel grigio paesaggio le mise addosso una grande malinconia. Appena aveva iniziato a piovere si era sentita pervadere dall'angoscia, accompagnata da un vago senso di impotenza. E lei era impotente davanti al corso della vita, della sua vita.
Con un sospiro tornò ai fornelli e si concentrò sul pranzo per non ricadere nel vortice di ricordi dolorosi.
-Ehi!- esclamò Alan studiandola attentamente. -Non dirmi che ci pensi ancora!-
Lei sussultò appena e si voltò verso il fratello, replicando risentita:
-Sei veramente così sicuro di te?-
-Non è così? Riconoscerei quell'espressione anche se ti vedessi lontana mille miglia!- insistette irritato.
Hilda gli lanciò un'occhiata fulminante, pronta per la guerra verbale che sarebbe scoppiata di lì a pochi secondi, ma prima che avesse la possibilità di rispondergli, qualcuno suonò alla porta, spezzando tempestivamente la tensione che si stava creando.
-Vado io, non ti scomodare.- borbottò Alan.
Mentre andava ad aprire, lei fece una smorfia e lo scimmiottò sommessamente:
-Vado io, non ti scomodare!-
Incuriosita avanzò verso l'ingresso e vide Sandy sulla porta, il ragazzo dell'ultimo piano. Era l'unico, in tutta la palazzina, ad avere il telefono e, di conseguenza, ogni volta che qualche parente od amico chiamava, era costretto ad avvisare l'interessato giungendo nelle ore più disparate della giornata.
Hilda lo salutò con un sorriso ed Alan si voltò verso di lei, spiegando:
-E' una chiamata per noi. Pare sia la zia. Vado a sentire cos'è successo e torno subito.-
-Ok. La pasta è pronta.- l'informò con indifferenza.
Sandy la salutò e se ne andò insieme ad Alan, mentre lei rimaneva a fissare la porta che si chiudeva alle loro spalle.
E rimase immobile a lungo, al centro dell'ingresso, nel più totale silenzio, senza pensare a niente. Poi, lentamente, chinò la testa ed incurvò le spalle, mentre una lacrima scendeva a rigarle la guancia pallida. Pianse in silenzio, consapevole di avere solo quel breve lasso di tempo per lasciarsi andare, prima che Alan tornasse.
Si maledisse per essersi tradita, risvegliando i sospetti del fratello che lei, con enorme sforzo, era riuscita a sopire già da alcuni anni. Alan le aveva ripetuto infinite volte di dimenticarlo, di non considerarlo più un fratello e lei, per evitare le sue continue scenate, gli aveva fatto credere di essersi rassegnata, evitando accuratamente di pensare a Siegfried in sua presenza. Ma come posso dimenticare di avere un altro fratello? Un fratello che continuo ad amare anche se sono trascorsi otto anni dall'ultima volta che l'ho visto?
Si asciugò le lacrime e tornò in cucina, dirigendosi verso la finestra e scostò le tendine per osservare il paesaggio grigio che le si presentava davanti, senza, però, vederlo realmente, trascinata ormai nel vortice di ricordi tristi e crudeli che avevano segnato la sua infanzia.
La sua mente rievocava immagini lontane e dolci, quando lei, Alan e Siegfried giocavano insieme, ridevano, scherzavano e si volevano bene. I suoi due fratelli facevano a gara nel ricoprirla di attenzioni, effusioni, baci e carezze perché, dicevano, era la piccolina ed aveva quindi bisogno di tanto affetto. E lei, a sua volta, considerava i suoi fratelli come due cavalieri che l'amavano e la proteggevano.
Quel gioco era durato fino a quando Alan, a quindici anni, aveva deciso che era meglio far sfoggio del suo fascino con altre ragazze anziché con lei, lasciando campo libero al suo più diretto ed acerrimo rivale. E lei, abituata per undici anni ad essere il centro di tutte le attenzioni dei fratelli, avvertendo quel vuoto improvviso attorno a sé aveva riversato tutto il suo amore su Siegfried. Quella sorta di abbandono da parte del fratello maggiore aveva avuto il potere di farla star male e, come era naturale in una bambina, pensò che un dolore così grande non l'avrebbe mai più provato. Viziata e coccolata fin da quando era venuta alla luce, amata e sommersa di complimenti da parte di entrambi i fratelli, considerò il voltafaccia di Alan come una pugnalata data a tradimento e faticò molto a perdonarlo.
A tredici anni Siegfried era già conosciuto in tutti i peggiori ambienti della città. Con i suoi amici si divertiva a molestare la gente, a commettere furti, a fare a pugni con i coetanei, a perpetrare veri e propri atti di vandalismo e teppismo; fin da piccolo aveva mostrato una palese tendenza ad amare le armi ed ogni volta che gli si presentava l'occasione non si faceva scrupoli nell'usarle. In particolare aveva una certa debolezza per le armi bianche che, come avrebbe sempre sostenuto in seguito, avevano la facoltà di risvegliare la parte più aggressiva e più abile di chi se ne serviva.
Di tutto questo Hilda non aveva mai saputo niente. Con lei si era comportato sempre con premura e gentilezza, ricoprendola di maggior affetto dopo che Alan gli aveva lasciato il campo libero per correre dietro alle ragazze. E lei aveva continuato ad adorarlo, forse più di prima, concedendogli tutto l'amore che in precedenza aveva dovuto scindere in parti uguali tra lui ed Alan. Si era resa conto fin da piccola che non le era concesso amare più un fratello dell'altro; quella rivalità tra loro le faceva paura. Se, per distrazione, mostrava più attenzione ad uno dei due, l'altro subito scoccava un'occhiata micidiale in direzione del fratello ed immediatamente si mettevano a litigare. Per evitare che quella rivalità sfociasse nell'odio, aveva sempre bilanciato in maniera uguale il proprio affetto anche se, nel suo intimo, era più incline ad amare Siegfried. L'improvviso allontanamento di Alan l'aveva lasciata libera di dedicarsi totalmente al fratello preferito.
Ma anche la più totale abnegazione alla fine costringe ad aprire gli occhi ed Hilda aveva iniziato ad intuire che qualcosa non andava. Se con lei Siegfried era dolce ed affettuoso, con i suoi genitori, invece, non faceva altro che litigare violentemente. Anche se troppo tardi per poter rimediare, avevano scoperto che frequentava delinquenti in erba, sempre pronti a commettere malvagità di ogni genere ed a nulla erano valsi gli schiaffi paterni per ricondurlo sulla retta via.
I continui litigi le avevano fatto intuire la verità e quando aveva chiesto ad Alan di spiegarle cosa stava accadendo, il ragazzo le aveva sussurrato sconsolato:
-Siegfried è un delinquente.-
Rabbrividì al ricordo di quel particolare momento della propria infanzia e si appoggiò alla finestra.
Per una bambina di undici anni quella verità risultò difficile da accettare. Si sentì malissimo e per diverso tempo si rinchiuse in se stessa, piangendo e maledicendo Siegfried. Nel breve periodo di un mese era stata tradita prima da Alan e poi da colui nel quale aveva riposto tutta la sua fiducia. Reagì nell'unico modo che le era possibile, iniziando a diffidare dei suoi fratelli, ad ignorarli, sentendo crescere dentro di sé rabbia e solitudine.
Ma quello stato di cose durò poco: cinque mesi più tardi i loro genitori morirono in un incidente stradale ed i tre orfanelli furono accolti in casa della zia materna. Con loro, Alan ed Hilda rimasero fino a quando il ragazzo non si iscrisse all'università, mentre Siegfried pensò bene di sparire dopo poche settimane.
Otto anni... Da otto anni non ti sei più fatto vedere, pensò con tristezza, continuando a guardare la pioggia che cadeva incessantemente.
Con un enorme sforzo ricacciò indietro le lacrime e passò una mano sulla fronte, mordendosi le labbra. Come un automa si avvicinò ai fornelli e si accinse a togliere la pasta dal fuoco.
Alan, indubbiamente, aveva ragione quando le ripeteva di dimenticarlo ma, nonostante tutti gli sforzi che faceva, non ci riusciva. Il passato apparteneva al passato e così doveva essere, anche se continuava a ripensare ai momenti più tristi della sua vita come se avesse voluto cambiarli in un ultimo, disperato tentativo.
-Continuare a pensarci non risolverà niente.- le aveva detto Alan con rabbia, dopo che Siegfried se ne era andato per sempre. -Non è colpa di nessuno se ci è capitata la disgrazia di avere un fratello delinquente. Non vale la pena di pensare a lui: dimenticalo e poi ti sentirai meglio.-
L'aveva guardata a lungo, studiando quegli occhi tumefatti e rossi per le tante lacrime versate, quindi aveva continuato con più pacatezza:
-Non preoccuparti. In fin dei conti, alla tua età si dimentica facilmente.-
E lei aveva dodici anni quando Siegfried se ne era andato senza dire una parola.
Ma io non ho dimenticato. Non potrei mai. Lui è mio fratello e continuerò a sperare che un giorno ritorni. Sospirò tristemente, pensando che quell'attesa le era già costata molto.
Oddio, basta! Basta! Non posso continuare a torturarmi così in eterno! Siegfried ha scelto da solo la propria vita: a modo suo sarà felice...
-Hilda!-
La ragazza sobbalzò al tono imperioso ed improvviso: immersa nei ricordi non aveva udito Alan rientrare. Lo guardò timorosa e quello che vide non le piacque. Alan la fissava torvo, le mani nelle tasche dei jeans, a testimonianza che era da un po' lì a studiarla.
-Quante volte ti ho ripetuto e continuo a ripeterti che non devi pensarci?- urlò inviperito, dando sfogo alla collera feroce che il solo pensiero del fratello gli procurava.
-Scusami.- mormorò chinando mestamente la testa.
Il ragazzo inspirò a fondo, cercando di ritrovare il controllo delle proprie emozioni. Maledetto! imprecò con stizza. Possibile che debba sempre combattere contro il tuo fantasma? Con rabbia si sedette a tavola e ringhiò:
-Allora? Non avevi detto che la pasta era pronta?-
Hilda annuì e si precipitò a preparare i piatti col cuore che le batteva impazzito. Gli improvvisi e violenti scoppi d'ira del fratello iniziavano a preoccuparla ed ogni qualvolta lo vedeva pronto ad esplodere, evitava con ogni mezzo possibile di far precipitare le cose. Così se ne rimase in silenzio per l'intera durata del pranzo, ascoltando con malinconia la pioggia che batteva contro i vetri con un ritmo sempre uguale.
Con un pallido sorriso accettò l'aiuto che Alan le offrì al termine del pasto e quando si ritirò in camera sua sospirò di sollievo, chiudendo la mente a qualsiasi pensiero.

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