martedì 20 gennaio 2009

Come convivere con uno sport sconosciuto - 2

A questo punto, dopo aver stupito amici e parenti con effetti speciali, vi mettete lì di impegno a cercare di capire cosa ha spinto il vostro cucciolo ad optare per questo sport.
Prima mossa: gli allenamenti.
E fin qui mi pare che siate tutti concordi: non si può non andare a vedere gli allenamenti del bambino.
E l’impatto è notevole: il campo da baseball è almeno tre volte un campo di calcio.
Ora mi domando: se su un campo di calcio riescono a stare belli comodi ventidue giocatori tutti insieme, muovendosi tutti insieme, bestemmiando tutti insieme, litigando tutti insieme, perché diavolo un campo di baseball deve essere tre volte tanto per farci stare solo nove giocatori?
Sì, nove, avete letto bene: meno di una squadra di calcio.
E ti ritrovi a strizzare gli occhi per cercare di individuare gli esterni, perché ti ci vogliono dodici decimi per riconoscere se quel puntino che gioca laggiù, nell’altra nazione, è tuo figlio o no. E se è lui, ti ringalluzzisci, gonfi il petto come un pavone e ti metti a guardarlo mentre sta… praticamente fermo, senza far nulla. Se ne sta laggiù, lupo solitario, con un guantone in una mano, in attesa che gli giunga una pallina.
Sì, una pallina.
Ora, mi sembra giusto che, un campo tre volte tanto uno di calcio, anziché avere una mongolfiera (perché lo spazio ci sarebbe, eccome!) abbia una pallina che è della grandezza di una palla da tennis.
A questo punto cadono tutte le certezze che finora ti hanno retto per un’intera esistenza. Non sai neppure chi sei! Ti viene il dubbio e ti guardi allo specchio e ti sbirci e dici che forse non sei tu, perché ci sono parecchie rughe che prima non avevi notato. E per una donna questa è una mazzata non indifferente.
A quel punto ti chiedi per l’ennesima volta: come fai ad individuare una palla così piccola in un campo così grande? E poi scopri che tutti i giocatori di baseball alla fine mettono gli occhiali! Be’, forse ho esagerato, ma era per rendere l’idea.
Comunque il dubbio ti rimane (anche su chi sei!) e tu, spettatore, se per disgrazia soffri di miopia, riesci solo a vedere nove persone che si muovono senza un filo logico.
Ci siete ancora? Riuscite a seguirmi? Non è facile, lo so. Se vi svelassi che la sottoscritta si è imparata le regole da un manuale tutto scritto in inglese ci credereste? Ebbene sì, ho ancora le fotocopie nel cassetto. Ma questa è un’altra storia.
Torniamo al cucciolo che si sta allenando con i suoi compagni.
Mentre loro giocano e si divertono (sembra incredibile, ma vi assicuro che è così), tu stai lì, insieme ad altri genitori che sbirciano il campo in religioso silenzio. Sì, perché all’inizio il silenzio è d’obbligo: di che cavolo vuoi parlare se non sai cosa stai guardando? Allora azzardi furtivo un’occhiata al genitore che ti sta accanto e provi a decifrare la sua espressione assorta. A quel punto ti rianimi, ricordi chi sei, ti rincuori non poco, perché capisci che anche lui/lei non ci capisce nulla. E’ già qualcosa che ti unisce.
-Salve, io sono Nica.- mi presento.
-Salve, io sono…-
Ed in questo modo impari a conoscere i vari genitori che saranno tuoi compagni in questa bellissima avventura.
Il “bellissima” è eccessivo? Ok, ridimensioniamo: in questa avventura.
E mentre provi a capire con loro il perché il destino abbia infierito così duramente sulle nostre povere teste… pardon, volevo dire, mentre provi con loro a capire il perché di tante mosse da parte dei giocatori, ti arrivano alle orecchie parole tipo:
-Batti! Alza il gomito! Ruba! La trappola!-
Mio Dio! Mio figlio si deve prostituire! Deve bere! Deve diventare un ladro! E’ caduto in trappola!
Il panico!
Ma non era uno sport? E lì ti prende la sindrome dei sensi di colpa. E’ colpa mia se l’ho segnato qui. Doveva fare calcio.
Buoni, buoni, nulla di tutto questo.
Con il tempo, dopo che sei stato per due ore e passa (tanto dura un allenamento) a tenere d’occhio tuo figlio, ti accorgi che questi termini hanno tutto un altro significato e quasi ti piglia un colpo apoplettico per il sollievo.
Batti sta per battere (anche se alle bambine sarebbe più carino dire “cerca di colpirla amore!”), ovviamente quando ti trovi sul piatto di battuta e te ne stai lì come un cavernicolo, con la clava… pardon, la mazza in mano, pronto ad aggredire la pallina.
Alza il gomito non sta a significare che, per giocare, ti devi per forza ubriacare, ma tenere il braccio alzato quando brandisci la clava di cui sopra.
La trappola è un gioco tra due basi, quando il giocatore avversario si trova stretto tra i due giocatori delle due basi e non sa come fare a salvarsi.
Ruba sta per… rubare, nel vero senso della parola, ma non quello che pensate voi, bensì le basi, quelle che formano il diamante. No, non vuol dire che devi rubare un diamante! E’ così che si chiama il campo di baseball: diamante.
Perché? Semplice: le tre basi più casa base sono disposte a forma di rombo, per cui il nome di diamante. E gli esterni? Quelli sono sempre là in fondo, in attesa che giunga una pallina da prendere e rilanciare.
Tutto qui?
Già, tutto qui.
Non a caso nelle prime partite i nostri esterni, Axel compreso, si divagavano raccogliendo fiori e facendo cicoria, mentre gli altri sul diamante cercavano di fare la partita.
Probabilmente gli esterni non sapevano nemmeno il risultato finale della partita.
Ma che razza di gioco è? Raccogliere fiori?
E’ un po’ il concetto del nostro Doni quando se ne sta tra i pali ed attende che giunga un pallone e, visto e considerato il muro che si trova davanti (leggi: Panucci, Mexes, Chivu e Tonetto) quando cavolo gli giunge mai un pallone? Allora passeggia tra i pali e attende. Forse, tutto sommato, anche Doni avrà tempo di raccogliere fiori e cicoria.
Ma torniamo a noi.
I nostri giovani leoni ci mettono tutto l’impegno e la gagliardia della gioventù in questo loro sport che imparano a conoscere sul diamante.
Sì, perché neppure loro sanno molto bene cosa stanno facendo. Anzi, secondo me non lo sanno proprio.
Avete capito bene. E ve ne accorgete durante una partita di campionato, quando vedete la squadra avversaria padrona del diamante, consapevole di come muoversi, mentre i nostri impazziscono, si guardano perplessi e, se disgraziatamente giunge la palla, pare che si scottano al contatto (detta anche sindrome della granata Fantozziana) e non sanno a chi tirarla. E lì senti l’allenatore urlare:
-Al lanciatore!-
Quale lanciatore? In campo lanciano tutti, vedi tutti che tirano questa benedetta palla dalla prima base alla terza, oppure a casa base dove si trova il ricevitore; oppure ancora in seconda, dove ne trovi due di giocatori… Sì, perché, a complicare maggiormente le cose, esiste l’interbase.
L’interbase? Stiamo su Star Trek?
No, stiamo precisamente tra la seconda e la terza base, latitudine e longitudine ve li dirò poi, quando ci avrò capito qualcosa.
Ok, vedo che vi siete persi. E avete ragione e tutta la mia comprensione. Forza Roma!
Come posso spiegarvi una cosa complicata con parole semplici?
Se solo ci fosse Einstein… Lui aveva semplificato tutto con quel semplice E=mc². Tutta la teoria sulla relatività, formule su formule lunghe un intero libro, semplificate con E=mc².
Banale. Ovvio.
Ma che cavolo vuol dire E=mc²? Sono sicura che almeno una volta nella vita ce lo siamo chiesto tutti. E poi scopri che E sta per energia, che si ricava dal prodotto di m che è la massa e c che è la velocità della luce elevata al quadrato.
Bello. Bellissimo.
Ma noi comuni mortali cosa ce ne facciamo? Noi, proprio io e te, nulla.
Pertanto, torniamo al diamante e vediamo come scendono in campo i nostri nove lupacchiotti. Sul monte il lanciatore; a casa base il ricevitore, poi il prima base, il seconda base, il terza base, l’interbase, l’esterno sinistro, l’esterno centro e, nono, l’esterno destro. Proverò a fare un disegno (che Dio me la mandi buona!).

Ecco: avete scoperto che non sono brava a disegnare. Passiamo oltre.

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