lunedì 19 gennaio 2009

Come convivere con uno sport sconosciuto - 1

A tutti quei ragazzi che con passione hanno indossato e continuano ad indossare la divisa della
NUOVA ROMA BASEBALL

Come convivere con uno sport sconosciuto

Peripezie di una normale famiglia romana



Roma.
Sì, Roma. Avete presente la maestosa, bellissima, imponente, imperiale e papalina città eterna?
Proprio lei.
Certo, ora ha solo un vago ricordo della sua imperiale grandezza, ma continua ad incipriarsi il muso come una vecchia ed attempata signora ed a mostrar quello che le rimane dei maestosi monumenti sopravvissuti a tremila anni di storia.
Chi non sogna, almeno una volta nella vita, di vedere Roma ed il suo pesante carico di storia? Chi non ha mai sognato di vedere il biondo Tevere (che di biondo non ha nulla), la grandezza del Colosseo, lo splendore di S. Pietro, la mole di Castel S. Angelo, i Fori Imperiali, la lupa che allatta Romolo e Remo? Tutti sognano di vedere Roma. Anche noi romani ci sogniamo di vederla.
Ab Urbe condita.
Per chi ci vive le cose vanno in maniera diversa. Le macchine hanno preso il posto dei cavalli e le famose strade consolari ora sono solo un pallido riflesso delle grandi vie di comunicazione intasate e caotiche. Sì, perché a Roma si muore di smog. Non si muore più di daga o di pugnale: si crepa di smog e non puoi prendertela con nessuno, perché, se prima potevi rendere l’anima al Creatore con la magra consolazione di vedere in faccia il tuo assassino, oggi è lo smog assassino che urla la sua innocenza, lasciando credere a tutti che ti sei lasciato assassinare.
Ma Roma è Roma ed io ci vivo da una vita. Mio marito, poi, non potrebbe essere più romano di così: Marco Licio. E neanche a farlo apposta, il cognome, visto e considerato il nome, ha una risonanza imperiale: Fabi.
Direte: e allora?
Un po’ di pazienza, solo un po’ di quella pazienza che noi, civilizzati e progrediti, non abbiamo più.
Adunque, credo che fin qui sia chiaro a tutti che siamo una famigliola di Roma del ventunesimo secolo.
Ora, come in tutte le famiglie del mondo, vige il consueto quanto religioso momento della domenica.
La messa?
Veramente la messa c’entra ben poco, se non vogliamo elevare (rischiando una scomunica) agli onori degli altari Totti e Co.
Perché è la Roma, la Magica, a monopolizzare le nostre domeniche e non le gesta del Cristo (che Iddio mi perdoni!).
Sì, lo so, so bene cosa state pensando: non si gioca più solo la domenica pomeriggio, ma esistono un anticipo ed un posticipo. Ma io vorrei poter credere che esiste ancora quell’unico momento che era la domenica pomeriggio di glorioso ricordo, quando si andava a fare il famoso pic nic fuori porta con le radioline incollate all’orecchio. Sì, perché all’epoca non esistevano le partite in TV e per vedere un goal dovevi per forza di cose andare allo stadio, o attendere pazientemente 90° minuto, quando il caro vecchio Valenti ti metteva al corrente di tutto. Di tutto poi non si sa, visto che i risultati si sapevano già. Ma i miliardi del calcio fanno di questi miracoli di cui tu non sapevi di aver bisogno.
Ma torniamo a noi.
Anche questo mi sembra chiaro come il sole: la nostra famigliola, ragazzo compreso, ha un cuore giallorosso, sebbene su questo io abbia una certa reticenza, visto e considerato che i colori di Roma sono ocra ed amaranto. E allora, perché diavolo ci si ostina a chiamarli giallorossi? E pensare che pure il mio grande amore, Cesare Borgia, aveva rivestito il suo esercito con una cotta d’arme oro ed amaranto, i colori della città eterna. Oggi sembriamo più leccesi che romani!
Colori a parte, quando gioca la Magica, in casa scende un religioso silenzio, la pressione schizza alle stelle peggio di un salto di Doni tra i pali, gli occhi si spalancano come due palloni ed il cervello si sveglia dal letargo lavorativo e si mette in moto per cercare di capire la tattica del grande Spalletti. Ci manca solo l’odore della cera sciolta e dell’incenso e poi è come stare a messa… che Iddio non me ne voglia neppure stavolta!
Orbene, in una casa romana, con un marito che più nome romano di così non poteva avere, dove si palpita per un rigore di Totti andato a male o per il bel codinzolo biondo del francesino Mexes (che a me pare più un panzer che un delicato francese), orbene, in questa casa dove sventola la bandiera della Roma e dove tuo marito scrive su un giornale romanista, c’è qualcosa che stona.
Axel.
Chi è Axel?
E’ il cucciolo di casa, nostro figlio. Ma badate bene, non è il suo nome celtico, che di romano non ha proprio nulla, a stonare, un nome che riporta alle menti orde barbariche ed incursioni vichinghe, bensì la scelta di praticare uno sport.
Perché è giusto ed indispensabile, quanto mai salutare, che i nostri figli facciano movimento, considerata l’era in cui viviamo.
E allora, sull’onda di gioia che ci procura la Roma, con i suoi vari Mancini, Taddei, De Rossi, Montella, Aquilani, Perrotta e Co, Axel ha scelto bene di praticare il baseball.
Ma no, il calcio.
No, no, avete letto bene: il baseball.



Baseball.
Che diavolo vuol dire? Che cos’è?
Non c’è il pallone. E questo ha insospettito Marco Licio. Non ci sono le porte; e questo ha fatto drizzare i capelli a Marco Licio. Ma allora, se non c’è un pallone, se non ci sono le porte, come diavolo si fa a segnare?
Con calma. Con molta calma.



Ricapitolando: noi genitori, così come gli altri genitori che abbiamo avuto il piacere di conoscere sul campo, ci siamo ritrovati con dei figli che hanno pensato bene di tifare Roma ma di giocare a baseball.
Il problema è: come diavolo fa a venire in mente ai bambini romani, infarciti di calcio, bombardati di calcio, con amici che giocano a calcio, con genitori che vanno a vedere le partite di calcio, di decidere di giocare a baseball?
Bella domanda. E la risposta è ovvia: colpo di fulmine.
Non avrei mai creduto, il primo giorno di allenamento, sentire accogliere mio figlio con queste parole dal suo allenatore:
-Vuoi diventare anche tu un malato per il baseball?-
Malato per il baseball? Ma figuriamoci! Ero pronta a giurare che, visti i precedenti tentativi in altri sport, non sarebbe durato un mese o poco più.
Sette anni…
Sette lunghi anni di baseball.
E non accenna a voler smettere. Qualcosa mi sta suggerendo all’orecchio che forse non gli piace il calcio.
Suppongo che, se a mio marito non è venuto un infarto all’epoca, non verrà più.
Ebbene sì, da sette anni trascorriamo le domeniche non più a vedere la Roma di Spalletti, ma a vedere la Nuova Roma Baseball.
Be’, dove poteva finire un figlio di romanisti se non nella squadra capitolina con i colori ocra ed amaranto? Se non altro questo è consolante, perché se avesse optato per la Lazio del baseball…
Sorvoliamo.
Quindi, le domeniche ora sono riservate alle partite di baseball e quelle della Roma ce le sogniamo. Così come ci sogniamo la città.
Ma voi, dico voi, avete un’idea, una pallida idea di cosa sia e di come si svolge una partita di baseball? Noooo???!!! Ma in che mondo vivete? Non avete mai visto Walter Matthau ed i suoi Orsi? Nooo???!!! Suvvia, i film americani sono spesso infarciti di baseball, ne ha fatto uno pure Madonna.
No, non la Madonna (e che non si legga come imprecazione, per amor di Dio!), ma Madonna, la pop star. Sì, proprio lei. Ancora nulla? Be', come noi, del resto.
Ebbene sì, pure noi, a nostro tempo, quando ci capitava di vedere un film dove c’era una scena di baseball e tutti si accaloravano, dove i giocatori correvano all’improvviso, tornavano indietro, o venivano eliminati, ci siamo sempre chiesti: che diavolo vuol dire?
E poi, il bellissimo Rain Man, chi di voi non l’ha visto? Dustin Hoffman continuava a ripetere come una litania:
-Chi è in prima base?-
Chi è in prima base? Ma che cavolo voleva dire? Prima base? Che diavolo era?
E poi la risposta illuminante, grazie alla decisione di Axel di giocare a baseball.
Io, comunque, non saprei da dove iniziare a spiegare questo gioco che, imparate le regole, ti fa innamorare.
E poi, siamo sinceri, alle recenti olimpiadi di Torino, quanti di voi, di fronte ad un giurassico ferro da stiro lanciato alla velocità di un bradipo, dove omini coscienziosi spazzolavano energicamente per farlo scivolare su un pavimento extralucido, quanti di voi, mi domando, non si sono chiesti se quello sport non fosse stato inventato da casalinghe disperate? No, non il telefilm, non fraintendete! Eppure il curling è diventato di dominio pubblico, perché le regole erano semplici e noi tutti lì, con la bocca aperta a guardare i ferri da stiro scivolare placidi per andare a fare il punto.
Ma il curling è facile.
Il guaio è che non esiste al mondo sport più complesso ed articolato del baseball. Lo ha ammesso lo stesso Einstein, che pure era un cervellone. E noi, miseri mortali, se non ci ha capito nulla lui, come possiamo solo osare pensare di riuscire dove lui ha fallito?
Ma io dico, benedetto il Signore, noi romani di sette generazioni, attaccati alla nostra città come una cozza allo scoglio, attaccati alla nostra squadra come un naufrago alla zattera… ritrovarci a fare i conti con il baseball, che di romano non sa neppure se è un aggettivo od un nome. Come si fa?
Ed a questo punto bisognerebbe stilare un manuale per la sopravvivenza. Sì, perché proprio di questo si tratta: sopravvivenza. Altrimenti, come spiegare la faccia ridente di parenti ed amici quando, con estremo candore, ti chiedono:
-Che sport pratica Axel?-
E tu rispondi soave, come se fosse la cosa più naturale del mondo:
-Baseball.-
E loro, entrambi i sessi nessuno escluso, ti fissano sgranando gli occhi e rispondono attoniti:
-Baseball?- come se fosse un serpente velenoso.
-Sì, baseball.-
E lì, certi di aver udito bene, nascondono la sorpresa e l’ignoranza dicendo:
-Che sport particolare!-
E tu lì, che li spii da sotto le ciglia e vorresti gridare:
-Lo so che non sapete neppure di cosa sto parlando! Non fate i sapientoni!-
E poi c’è il solito parente od amico che ti dice:
-Ma il calcio no?-
A quel punto, se ci fosse stato Walt Disney al tuo fianco, sopra la tua testa avrebbe disegnato fulmini e saette.
Infine c’è il sapientone che quando ti rincontra, per far bella figura ti domanda:
-Allora, come va Axel con il basket?-
Eh, sì, basket. E ti chiedi: che diavolo c’entra il basket con il baseball? Forse perché entrambi iniziano per B? Ma esiste anche il bowling che inizia per B, la boxe, il bob, le bocce… Allora che fai? Ti metti a spiegare al sapientone le differenze tra i due sport? Ti conviene spararti, fai prima.
A quel punto ti convinci che sicuramente dietro a tutto ciò esiste un disegno superiore, un disegno divino, il karma. Perché solo una volontà divina può aver deciso di far praticare uno sport simile a tuo figlio. E allora ti sorge spontanea l’altra domanda: se così deve essere, per quale recondito motivo? Forse perché deve diventare un novello Joe di Maggio? O un secondo Mike Piazza?
Sì, sì, buoni lì, lo so che non conoscete i nomi, ma vi assicuro che sono due grandi della Major League americana.
Major che?
Non avete capito? Perdonate la sbadataggine: sarebbe come la serie A del nostro campionato. Ricordate? Totti e Co.
Vi siete persi? Ok, un attimo di riflessione.

3 commenti:

Lorenzo Romani ha detto...

Una domanda polemica: siamo noi che dobbiamo convivere con il baseball, o è il baseball che deve convivere con noi giocatori italiani, spesso sfaticati, e che di voglia di sudare e imparare ne abbiamo ben poca?
Se il baseball è LOW la colpa è anche nostra.

Unknown ha detto...

La tua domanda è lecita, però posso dirti che i nostri ragazzi ce la mettono tutta (a dispetto del racconto in chiave ironica!). Ma tu conosci il baseball?

Lorenzo Romani ha detto...

no, non conosco il baseball...